Il rispetto dello Stato di diritto nell’Unione Europea
L’Unione europea si fonda sul rispetto di alcuni valori fondamentali, quali la democrazia, lo Stato di diritto e i diritti umani. In particolare, lo Stato di diritto implica il rispetto della separazione dei poteri e di conseguenza l’indipendenza della magistratura rispetto al potere esecutivo praticata in tutte le democrazie occidentali. Gli Stati membri dell’Unione si sono impegnati a rispettare e a promuovere tali valori fondamentali, che rappresentano anche una condicio sine qua non per l’adesione di nuovi Stati all’Unione europea. L’Unione europea non sarebbe credibile nell’esigere il rispetto di tali valori da parte di paesi candidati all’adesione, quali ad esempio la Turchia, se non fosse altrettanto esigente nel verificarne il rispetto da parte dei propri Stati membri. Peraltro, il rispetto dello Stato di diritto da parte degli Stati membri dell’Unione è vitale per il progresso dell’integrazione europea. Lo spazio giudiziario interconnesso dell’Unione europea è fondato infatti sul principio della fiducia reciproca e sul riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie, principio che sarebbe difficilmente salvaguardato se uno Stato membro non fosse più governato nel rispetto dello Stato di diritto. Nel suo discorso sullo stato dell’Unione il 13 Settembre scorso, il Presidente Juncker aveva ricordato che il mancato rispetto di una sentenza della Corte europea di Giustizia oppure la messa in causa dell’indipendenza della magistratura nazionale equivale a privare i cittadini dei loro diritti fondamentali. Lo Stato di diritto – aggiungeva Juncker – non è un’opzione ma un obbligo in seno all’Unione europea. Questa dichiarazione del Presidente della Commissione europea faceva seguito all’annuncio, da parte del governo ungherese, di non voler rispettare la sentenza della Corte europea di Giustizia sulla ripartizione dei rifugiati nonché al voto di una legge da parte del Parlamento polacco che avrebbe permesso la revoca ed il pensionamento d’ufficio dei giudici della Corte suprema polacca. I Trattati europei hanno previsto il caso in cui uno Stato membro dell’Unione violi i valori fondamentali dell’Unione europea. Se questo avvenisse, il Consiglio europeo deliberando all’unanimità (senza il voto dello Stato oggetto della procedura) potrebbe costatare - sulla base di una proposta della Commissione o di un terzo degli Stati membri - l’esistenza di una violazione grave e persistente dei valori fondamentali e decidere di sospendere alcuni diritti dello Stato in questione, fra i quali il diritto di voto in seno al Consiglio. Appare evidente come tale procedura sia di difficile applicazione, poiché nel caso in cui una violazione dei valori fondamentali fosse commessa da due Stati membri, il veto di un solo Stato membro sarebbe sufficiente per impedire l’applicazione di una sanzione nei confronti dell’altro Stato. Il progetto di Trattato Spinelli del 1984 aveva attribuito alla Corte europea di Giustizia la competenza di certificare la violazione dello Stato di diritto, proprio per evitare un giudizio politico unanime del Consiglio europeo. Anche per la difficoltà di applicare tale procedura, la Commissione europea ha lungamente esitato prima di avviare la procedura sanzionatoria prevista dal Trattato nei riguardi degli Stati che, come la Polonia e l’Ungheria, hanno adottato leggi che mettono in causa l’indipendenza della magistratura nei riguardi del potere esecutivo oppure la libertà di stampa. Quando tuttavia il governo ed il Parlamento polacco hanno avviato nel 2015 un processo di controllo o di eliminazione progressiva di ogni fonte potenziale di opposizione, violando la stessa Costituzione polacca, la Commissione europea ha indirizzato tre avvertimenti successivi, sotto forma di raccomandazioni, al governo polacco. In questi atti formali, la Commissione europea aveva chiesto inizialmente l’esecuzione integrale da parte delle autorità polacche delle decisioni del tribunale costituzionale polacco che il governo aveva rifiutato di pubblicare. Successivamente, la Commissione aveva chiesto alle autorità polacche di non nominare il nuovo Presidente del tribunale costituzionale secondo una procedura non prevista dalla Costituzione. In assenza di una qualunque risposta da parte del governo polacco, la Commissione, invece di avviare la procedura sanzionatoria prevista dal Trattato, ha indirizzato alla Polonia una terza raccomandazione in cui criticava l’adozione di nuove leggi che permettevano al governo di dimettere tutti i giudici della Corte suprema e di controllare l’intero sistema di nomina dei giudici. Secondo la Commissione, l’entrata in vigore delle nuove leggi avrebbe compromesso l’indipendenza della magistratura in Polonia. Il governo polacco non solo si è ben guardato dal dare seguito alle richieste della Commissione ma ha anche messo in dubbio la competenza della Commissione per controllare il rispetto dello Stato di diritto in uno Stato membro. In un comunicato pubblico, il governo polacco ha affermato che la Commissione avrebbe disatteso i principi di obiettività, di rispetto della sovranità e dell’identità nazionale e avrebbe commesso un’ingerenza negli affari interni della Polonia. Tuttavia il governo polacco si è ben guardato dall’adire la Corte europea di Giustizia per far valere l’incompetenza della Commissione europea. Tale ricorso sarebbe stato probabilmente giudicato infondato poiché, se la Commissione dispone della competenza di avviare la procedura prevista dal Trattato (art. 7 TUE) per sanzionare la violazione dei valori fondamentali dell’Unione, in che modo essa potrebbe motivare l’avvio della procedura se non avesse il potere di sorvegliare il rispetto degli stessi valori da parte di uno Stato membro ? Senza addentrarci in un’analisi giuridica, il rispetto dello Stato di diritto è una necessità funzionale, a vari titoli, dell’Unione europea. Da un lato, tale rispetto influisce sulla legittimità del processo decisionale dell’Unione dato il ruolo che spetta agli Stati membri in seno al Consiglio europeo ed al Consiglio dell’Unione. Dall’altro, lo spazio giuridico europeo è uno spazio transnazionale, dove gli atti pubblici di uno Stato membro sono suscettibili di produrre degli effetti giuridici in altri Stati membri (per esempio, decisioni dei tribunali nazionali di ricorrere alla Corte europea di Giustizia, mandato di arresto europeo, ecc…). Come già ricordato, la fiducia reciproca tra gli Stati membri sarebbe compromessa se gli standards democratici non fossero più rispettati in uno Stato membro. La Corte europea di Giustizia deve poter contare sull’indipendenza dei tribunali nazionali nel quadro della procedura di ricorso pregiudiziale prevista dai Trattati. Se analizziamo il problema dal punto di vista politico, dobbiamo riconoscere che gli Stati dell’Est europeo dispongono di un sistema democratico debole, sia perché hanno avuto prevalentemente nella loro storia regimi autoritari – quelli che lo storico ungherese Jeno Szucs riassumeva nella sua opera “Le tre Europe” sotto la definizione di “dispotismo orientale” - sia perché la loro democrazia recente è condizionata dal problema della sicurezza (verso la Russia) e dalla questione migratoria (vista come difesa della loro identità culturale e religiosa). Pertanto, in mancanza di una reale sicurezza garantita da un governo federale europeo, questi Stati pensano di risolvere il problema con l’accentramento del potere nazionale e la limitazione delle libertà fondamentali (come fecero molti Stati europei negli anni ‘20/’30 del secolo scorso). Questo spiega anche perché la Polonia e l’Ungheria fanno riferimento alla nozione di “identità nazionale” - garantita dall’art. 4 del Trattato di Lisbona – per opporsi a quella che essi considerano come un’ingerenza della Commissione europea nella valutazione delle loro riforme del sistema costituzionale.
Questa concezione della democrazia nazionale è stata contestata dal Presidente Macron nel suo recente discorso di Strasburgo al Parlamento europeo quando ha opposto l’autorità della democrazia alla democrazia autoritaria. Macron aveva già contestato l’inazione dell’Unione europea quando aveva affermato il 27 Aprile 2017 che non era possibile avere un’Europa “che discuta sui decimali dei bilanci di ogni paese dell’Unione e che decida di non fare nulla quando uno Stato membro si comporti come la Polonia o l’Ungheria su temi relativi ai rifugiati o ai valori fondamentali” della stessa Unione europea. Questa critica diretta del comportamento dei governi polacco e ungherese ha certamente incoraggiato la Commissione europea ad avviare la procedura sanzionatoria del Trattato nei confronti della Polonia per violazione dei valori fondamentali dell’Unione (come anche il Presidente Juncker ad annunciare nel suo discorso del Settembre scorso sullo stato dell’Unione che la Commissione prenderà un’iniziativa prima della fine del 2018 per assicurare il rispetto dello Stato di diritto in seno all’Unione). Un’iniziativa legislativa generale da parte della Commissione europea dovrebbe eliminare il sospetto che le Istituzioni europee concentrino la loro critica sul governo polacco poiché il partito al potere in Polonia è membro del gruppo dei conservatori in seno al Parlamento europeo (che sarà decimato alle prossime elezioni europee in seguito all’uscita dal PE dei conservatori britannici) mentre il partito al governo in Ungheria è membro del partito popolare europeo e contribuisce a rafforzare la maggioranza relativa di cui dispone il PPE. Allo stesso modo, la Commissione europea ha dimostrato la sua volontà di operare a favore del rispetto dei valori fondamentali dell’Unione da parte di tutti gli Stati membri quando ha proposto formalmente il 2 Maggio scorso di introdurre un meccanismo che permetta di proteggere il bilancio dell’Unione europea nel caso di violazioni generalizzate dello Stato di diritto in uno o più Stati membri. Tale meccanismo, se venisse approvato dal Consiglio al momento dell’adozione del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2020-2027, permetterebbe alla Commissione europea di sospendere o addirittura di annullare i pagamenti previsti dai Fondi europei agli Stati membri che non applicassero la regola dello Stato di diritto (salvo decisione contraria del Consiglio presa a maggioranza qualificata). Questa concezione alquanto mercantile dello Stato di diritto (è come se l’Unione dicesse ai suoi Stati membri : “dovete rispettare lo Stato di diritto ma nel caso doveste violarlo è sufficiente il pagamento di una sanzione pecuniaria”) permetterà comunque di aggirare la regola dell’unanimità necessaria per sanzionare la Polonia o l’Ungheria e penalizzerà finanziariamente gli Stati che vogliono continuare a violare i valori fondamentali dell’Unione. L’avvio parallelo da parte della Commissione europea della procedura sanzionatoria dell’art. 7 del Trattato di Lisbona ha già prodotto degli effetti indiretti che confermano l’interconnessione dei sistemi giuridici degli Stati membri e la necessità funzionale del ripristino dello Stato di diritto in tutti i paesi dell’Unione : 1) La decisione del Consiglio sul mandato d’arresto europeo prevede già che, nel caso di attivazione dell’art. 7 del Trattato, uno Stato membro possa rifiutare di riconoscere delle misure nazionali nel campo penale. Pertanto un giudice dell’Alta Corte irlandese ha rifiutato recentemente l’estradizione di un cittadino polacco dall’Irlanda verso la Polonia motivando tale decisione con l’argomento che i cambiamenti recenti della legislazione polacca hanno alterato il rispetto dello Stato di diritto e potrebbero compromettere un giudizio equo della persona di cui è stata richiesta l’estradizione; 2) le disposizioni europee in vigore prevedono che l’attivazione dell’art. 7 del Trattato faccia cadere la presunzione secondo cui il paese oggetto di una procedura sanzionatoria possa ancora essere considerato come un paese “sicuro” ai fini del riconoscimento del diritto di asilo. Detto altrimenti, il diritto di asilo potrebbe essere riconosciuto ad un cittadino polacco che ne facesse domanda e che potesse dimostrare di averne diritto. 3) La Corte europea di Giustizia ha reso recentemente una sentenza nella quale afferma che, nella misura in cui l’applicazione del diritto europeo ed il controllo giurisdizionale sono di competenza sia della Corte stessa che dei tribunali nazionali, il principio generale della protezione giurisdizionale effettiva, in quanto elemento essenziale dello Stato di diritto, è obbligatorio anche per gli Stati membri. Questo principio implica che il rispetto dell’obbligo di assicurare una protezione giurisdizionale effettiva include l’esigenza di rispettare l’indipendenza dei giudici nazionali. Pertanto la possibilità di avere accesso ad un tribunale “indipendente” è un’esigenza legata al diritto fondamentale dei cittadini europei di disporre di un “ricorso giudiziario effettivo”.
L’insieme di questi elementi e sentenze recenti conferma che il rispetto dello Stato di diritto e l’esistenza di una magistratura indipendente non solo fanno parte dei valori fondamentali dell’Unione europea ma costituiscono anche una necessità funzionale affinché sia preservata la fiducia reciproca tra gli Stati membri ed assicurato il riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie nazionali.
Paolo Ponzano (Docente di governance europea al Collegio europeo di Parma).
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