Il Blog di Livia Turco

www.liviaturco.it



6 Gennaio, 2017 (12:36) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

Un’idea di società

C’è una grande assente nel dibattito  pubblico sull’immigrazione, una assenza che non consente di andare alla radice dei problemi che connotano  l’immigrazione in questo nostro tempo. E’  il tema della convivenza tra europei, italiani  ed immigrati. Come stiamo insieme noi e loro? Quale idea di società ? Come tradurre il motto costitutivo   dell’Unione Europea dell’unità nella diversità? Porre questo tema significa incedere in una divagazione intellettualistica? Riproporre in modo  stucchevole il  dibattito sulla crisi o meno del multiculturalismo?

Niente affatto. Si tratta di un  tema molto concreto ed urgente che va affrontato per rispondere alle emergenze che stiamo vivendo. Il Governo ed i Comuni italiani stanno affrontando l’emergenza rifugiati con quella che viene definito  “modello diffuso di  accoglienza”. Si tratta di un idea  ed una pratica molto importante che va molto sostenuta , valorizzata e discussa perché potenzialmente contiene un progetto di convivenza.

Il modello diffuso accoglie in una comunità pochi nuovi  venuti , li inserisce nei luoghi della vita quotidiana, costruisce con loro una relazione umana di conoscenza , di coinvolgimento  nella cultura e regole del nostro Paese , di valorizzazione dei loro talenti in lavori utili alla comunità. Nel modello diffuso di accoglienza c’è l’ingrediente fondamentale della convivenza: conoscersi e riconoscersi, lavorare insieme, scoprire di avere obiettivi comuni. Contiene l’idea di una società della mescolanza sostenibile. Il problema è che solo 2000 Comuni hanno accettato di misurarsi con tale progetto.

Mancano all’appello seimila comuni. Come convincerli? Contano certamente gli incentivi economici  ma conta soprattutto dimostrare che con quei nuovi  venuti gli italiani non perdono la loro identità culturale, la comunità non viene deturpata, non  si corre nessuna minaccia per la propria vita. Anzi, quelle persone nuove e diverse possono arricchire la vita della comunità ospitante. Come raccontano molte cronache di giornali locali che riferiscono dei successi ottenuti da tanti comuni anche piccoli.

C’è un’Italia della convivenza diffusa e sedimentata da tempo  nei territori, nelle periferie delle città, nelle scuole, nei luoghi di lavoro . Essa è rimasta nascosta ed inascoltata. Bisogna raccontarla, farla conoscere, discuterla per capire cosa imparare da questi successi per definire una via italiana alla convivenza, un idea di società plurale. Solo con la pedagogia dell’esperienza, solo con la forza dell’esempio, fatto conoscere, discusso in modo collettivo si potranno convincere i seimila comuni e mettere così le basi per un Italia più sicura e serena. Non si può rimanere fermi al ritornello “ sicurezza e solidarietà” che ripetiamo da vent’anni.

L’Italia  è già  interetnica e multiculturale. Bisogna tradurre questo dato di fatto in consapevolezza culturale, civica, politica, in un idea nuova di società. La scelta che dobbiamo compiere attraverso un dibattito pubblico è molto netta: ci accontentiamo di stare gli uni accanto agli altri, tribù ’ separate che si ignorano, il cui problema è solo quello di non pestarsi i piedi?

Oppure vogliamo fare la fatica del conoscersi e riconoscersi, definire un orizzonte comune di valori, imparare a risolvere insieme i problemi , a condividere i momenti di difficoltà e quelli di festa? Vogliamo coinvolgere in questo processo gli immigrati stessi, a partire  da quelli che da molti anni sono qui con noi, e sarebbero ben contenti di non essere considerati solo forza lavoro ma cittadini che agiscono nella polis dotati di diritti e doveri verso la comunità? Vogliamo finalmente guardare in faccia “ gli italiani senza cittadinanza” i figli dei migranti nati in Italia che non accetteranno l’integrazione subalterna che è stata riservata ai loro genitori e da loro accettata. Non vorranno sentirsi cittadini di serie B.?

Vogliamo approvare prima dello scadere della legislatura quella benedetta riforma della cittadinanza  per cui questi giovani siano non solo italiani di fatto ama anche per legge? Vogliamo proporre l’educazione interculturale per tutti nelle scuole quale asse educativo fondamentale? Vogliamo imparare a praticare  la mescolanza nei luoghi della  vita quotidiana?

Costruire la società della convivenza in modo consapevole ed attraverso un dibattito condiviso valorizza le scelte importanti compiute dai Governi  Letta, Renzi  ed ora confermate da Gentiloni,  della stipula di accordi bilaterali con i paesi da cui provengono i flussi migratori perché l’Italia potrà esibire la sua capacità di integrazione, valorizza le politiche di cooperazione con i paesi del Mediterraneo e con l’Africa.

Non si costruisce l’Italia della convivenza con il reato di immigrazione clandestina, con i Cie  con le norme repressive ed inefficaci sulle espulsioni, con le norme sull’ingresso di lavoro che hanno fomentato la  clandestinità contenute nella legislazione vigente, le norme della Bossi Fini e della Berlusconi Maroni. Per  costruire una vera svolta nel governo dell’immigrazione, per costruire la società della convivenza  è necessario costruire una nuova “ legge quadro sull’immigrazione” ed una legge organica sul diritto d’asilo.

E’ una priorità non rinviabile. C’è un precedente da cui si può imparare qualcosa ed è la legge quadro dei governi dell’Ulivo  che nel 1998 con coraggio e spirito innovatore aprì una nuova pagina. Durò poco perché prevalse lo spirito ideologico e la cultura repressiva del centrodestra che ci ha  lasciato in eredità tanti problemi non risolti. Potrebbe essere utile da parte del Governo promuovere una Conferenza nazionale sull’immigrazione che veda la partecipazione dei tanti attori economici, sociali , culturali del volontariato, cittadini migranti.

Potrebbe essere utile che Anci, Regioni, Governo promuovessero ogni anno un Forum sull’Italia della Convivenza , un luogo in cui si raccolgono si illustrano e si discutono le buone pratiche della convivenza  realizzate nei territori del nostro paese ed anche in Europa. Per  praticare la pedagogia dell’esperienza.

Livia Turco

Scrivi un commento

Dovete essere connessi per poter inserire un commento.