Una manovra solo di tagli
di Livia Turco, da l’Unità del 21 agosto 2011
Il grido di dolore che i sindaci hanno lanciato contro i tagli ai comuni va raccolto e compreso nel suo significato più profondo. Essi si traducono in tagli ai servizi sociali fondamentali e dunque ai diritti dei cittadini. E’ bene che ci intendiamo di cosa stiamo parlando. Non dare un aiuto economico a chi è in condizione di povertà significa ulteriormente degradarlo e spingerlo nella marginalità. Tagliare i centri diurni per le persone con disabilità intellettiva grave significa tenerle chiuse in casa e non consentire loro di imparare a fare qualche lavoro attivando così le loro abilità e costringere le loro famiglie ad una umiliante fatica. Tanto più grave se si considera la riduzione in atto degli insegnati di sostegno e dell’inserimento lavorativo. Ridurre l’assistenza domiciliare ai malati non autosufficienti significa far impazzire la famiglie e non dare il giusto sollievo alle persone. Abbandonare i servizi psichiatrici come sta avvenendo significa abbandonare progetti di recupero che hanno ottenuto nel corso degli anni risultati straordinari come ci ricorda il bel film Si può fare . Chiudere i già pochi asili nido significa privare i nostri bambini della possibilità di socializzare e di attivare le loro capacità cognitive, che si sviluppano nei primi anni di vita e sono tanto più importanti per i bambini di famiglie povere. Infatti, sviluppare le attività cognitive in modo adeguato significa non ereditare lo svantaggio sociale. Come si vede da questi esempi i servizi sociali sono un investimento altamente redditizio, sono un moltiplicatore di opportunità. Perché prevengono il disagio, aiutano chi è in difficoltà, promuovono talenti e capacità delle persone, combattono l’assistenzialismo. Sono sempre stati carenti nel nostro Paese e considerati figli di un Dio minore collocati all’interno di un Welfare storicamente basato sui due pilastri della sanità e dell’assistenza. Quando l’8 novembre del 2000 entrò in vigore la legge quadro 328 promossa dal Governo dell’Ulivo, la legge della dignità sociale, norme per un sistema integrato di servizi e prestazioni sociali si aprì nel nostro paese una pagina davvero nuova nelle politiche di Welfare, nel rapporto volontariato, associazionismo, terzo settore ed Istituzioni e, soprattutto, nella vita delle persone. Quella riforma fu il frutto di una grande stagione di partecipazione democratica che vide protagonisti amministratori locali, cooperazione sociale, volontariato, associazionismo e terzo settore. Essa aveva portato in dote consistenti risorse attraverso il fondo per le politiche sociali ed era stata anticipata da leggi straordinarie come la 285 per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, l’assegno di maternità alle donne prive di occupazione, l’assegno al terzo figlio, gli interventi a favore delle persone disabili. La legge 328, della dignità sociale, è portatrice di una cultura del benessere della persona imperniato sulla comunità che si prende cura, che attiva tutte le risorse e le opportunità del suo territorio per tirare fuori dalle persone, a partire da quelle più fragili e in difficoltà, tutte le loro capacità, per renderle attive e partecipi alla vita sociale. Il benessere individuale e sociale inteso come relazione con gli altri, attività, partecipazione alla comunità. La dignità della persona, la partecipazione attiva, il Welfare locale e comunitario, le politiche sociali come politiche di sviluppo, l’universalismo selettivo: sono questi i cardini di una riforma che restano non solo attuali ma urgenti nella loro applicazione. Il centrodestra ha invece sin dall’inizio abbandonato questa riforma, non l’ha più finanziata, non ha fatto i livelli essenziali di assistenza richiesti anche dalla legge sul federalismo fiscale. Hanno fatto invece la loro parte le regioni e i comuni che oggi però si trovano totalmente abbandonati ed ulteriormente penalizzati dalla manovra. Questo Governo ha attuato un vero e proprio massacro delle politiche sociali. Azzerando il fondo per la non autosufficienza, e lasciando al fondo per le politiche sociali imbarazzanti 250 milioni (nel 2008 era 1 miliardo). Il massacro delle politiche sociali viene attuato dal Governo in nome di una scelta culturale che il ministro Sacconi esprime con tutta la sua algida baldanza ideologica: la cultura del dono, della sussidiarietà e della carità. E così non solo ci troviamo di fronte a tagli inauditi ma anche a due articoli della legge delega sulla riforma fiscale ed assistenziale appena approdata in Parlamento che di fatto cancellano la legge 328 e il suo impianto culturale. Con due articoli scritti prima delle ferie in assoluto silenzio si archiviano anni di battaglie democratiche, si azzerano tanti soggetti che ne sono stati protagonisti, si torna indietro di 100 anni al Welfare della carità e si archivia il progetto del Welfare delle capacità, dei diritti e della comunità. Tutto ciò è uno schiaffo prima di tutto a coloro che praticano la carità ed il dono come il volontariato che nel corso di tanti anni ha incessantemente sollecitato lo Stato e le Istituzioni ad essere coerente con la nostra Costituzione e dunque ad essere promotore attivo e in prima persona della solidarietà promuovendo una cultura dei diritti e non delegandola alla carità privata. Nei due articoli (9 e 10 del disegno di legge 4566) infarciti della retorica della sussidiarietà che vorrebbe valorizzare le competenze e le virtù delle imprese sociali e del no profit, si delinea concretamente un sistema sociale basato sulla social card per i poveri gestita dai comuni, la riduzione della platea dei beneficiari dell’indennità di accompagnamento tra le persone disabili e l’utilizzo di questi risparmi nella costruzione di un fondo per la non autosufficienza che le regioni dovranno gestirsi e finanziarsi da sole, i servizi di integrazione socio sanitaria finanziati dal fondo Sanitario Nazionale anch’esso fortemente decurtato, e i trasferimenti monetari attuati dall’Inps. Di fronte ad un così grave arretramento bisogna resistere e poi ancora resistere ai tagli ottenendo un ripensamento del Governo ma anche rimettere in campo una mobilitazione forte ed ampia di idee e di passioni per costruire una nuova stagione della solidarietà e della giustizia sociale.
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