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Immigrazione. Un fazzoletto d’Africa in Italia

20 Maggio, 2010 (17:39) | Post | Da: Livia Turco

Voglio condividere con voi questo diario di un mio viaggio a Caserta in quello che, una volta, era un cotonificio…

di Livia Turco

A Caserta, vicino alla stazione, c’è il centro sociale ex cotonificio, sorto nel 1995. È una struttura grande, poco accogliente nelle sue stanze e nei suoi ambienti. Dentro entra anche l’acqua e fa freddo. È una struttura che la comunità di Caserta e di tutta Italia, a partire dalle istituzioni, dovrebbero considerare un loro gioiello. È animato da un gruppo di volontari tenaci, appassionati, competenti, generosi. Nessun aggettivo riesce a definire persone come Fabio Basile che ne è il fondatore, Mimma D’Amico sua alter ego e altri giovani di cui non mi sono annotata il nome. Il centro sociale ex cotonificio di Caserta accoglie gli ultimi della terra, uomini dalla pelle nera. Comincia da qui, con Pina Picierno, combattiva e radicata parlamentare del posto, e con Enzo Amendola, segretario regionale del Pd campano che con Pina rappresentano le giovani speranze del Pd, un “viaggio nell’Italia dell’immigrazione e della civile convivenza” che condurremo in ogni regione d’Italia. Prossima tappa: Rosarno e i paesi della locride. Bisogna guardare con i propri occhi, ascoltare con le proprie orecchie, cercare di dire qualcosa e prendersi degli impegni. Così, secondo me, si costruisce la battaglia culturale per affermare i diritti e la dignità delle persone e il radicamento nel territorio. È Fabio a raccontare: ”Il centro sociale nasce nel 1995 e abbiamo iniziato a lavorare con la comunità senegalese. Ora le comunità sono più numerose e tutte concentrate nella zona di Castel Volturno, circa 6000 persone, con ganesi, liberiani, e dalla Costa d’avorio. Offriamo assistenza legale agli immigrati, cerchiamo di aiutarli a sbrigare ogni tipo di pratica. Si rivolgono a noi per ottenere il permesso di soggiorno, quando arriva una bolletta, quando subiscono un sopruso o cercano un lavoro, per comunicare con la famiglia, quando hanno un problema sanitario. Vengono da noi perché noi andiamo da loro. Sappiamo dove e come vivono e periodicamente li incontriamo. Sono tutti senza permesso di soggiorno. Tenuti volutamente in condizioni di irregolarità perché altrimenti come potresti farli vivere in case diroccate, affittare un letto nel giardino a 20 euro e farli lavorare 12 ore al giorno per 25 euro? Castel Volturno è uno snodo importante per il governo dell’immigrazione nel sud perché è luogo di incontro di una presenza stabile di migranti, rifugiati, irregolari. Qui ritornano dopo le stagioni in Puglia a Calabria. Lavorano nell’agricoltura, ma anche nell’edilizia e nel terziario. L’immigrato irregolare a Castel Volturno fa diventare oro tutto ciò che tocca per i proprietari delle case e per gli imprenditori. Sono fragili e ricattabili perché senza permesso di soggiorno e per questo tenuti volutamente nella irregolarità”. Fabio, Mimma e Gianluca della Caritas parlano di un difficile rapporto con la Questura e gli enti locali, di un contatto positivo con il ministero degli Interni nella persona del prefetto Morcone, capo del dipartimento immigrazione che a Castel Voltura era venuto dimostrando particolare sensibilità. Il 18 settembre 2008 ci fu la strage con i 6 morti, a cui seguì la rivolta degli immigrati. Dopo i fatti di Rosarno, il governo ha istituito un task force con enti locali e associazioni di volontariato per contrastare il lavoro nero e bonificare le zone degradate. Ci spostiamo da Caserta per andare a incontrare le comunità di africani. Siamo accompagnati anche da Prospero, un mediatore culturale ganese, molto colto che parla inglese ed è punto di riferimento di tutti gli africani della zona. Percorriamo la famosa domiziana, strada lunghissima, fiancheggiata da una pineta verdissima e popolata quasi tutta da immigrati, lì fermi che aspettano il bus inframezzati da qualche italiano. Stanno insieme tranquillamente. Si capisce guardandoli che è una convivenza di lungo periodo divenuta abituale anche se non è proprio felice. Spesso si accendono conflitti per chi deve salire sul pulman. Il primo incontro è in una abitazione diroccata, in stato di totale abbandono in mezzo ai campi al confine con il comune di San Giuliano, un paesaggio indescrivibile: materassi, letti, frigoriferi accatastati. Vivono lì dentro oltre 100 persone. Vengono ad incontrarci e ci sono quasi tutti. Prospero dice loro chi siamo, che siamo lì in difesa della loro dignità e dei loro diritti, per cambiare le leggi che li opprimono; si raccontano molto volentieri. Raccontano dello sfruttamento, delle 12 ore di lavoro, della paga che tante volte non arriva, del paradosso che se protestano perché non sono pagati vengono denunciati per estorsione, delle irruzioni della polizia alle 4 del mattino che sequestra soldi e telefonini. Delle bollette carissime che devono pagare, della paura di andare in ospedale perché temono di essere denunciati. La stragrande maggioranza sono arrivati nel 2002, dopo l’ultima sanatoria. Il loro miraggio è il permesso di soggiorno. Quando riescono a averlo, in genere emigrano al nord. Il lavoro non gli manca, sono molto ricercati in tante parti del Mezzogiorno. Quando ci congediamo ci dicono con i loro occhi intensissimi “aiutataci ad avere un lavoro dignitoso”. Ci spostiamo a Prescopagano, una frazione di Castel Volturno che in realtà è un fazzoletto di Africa. Case basse, assolate, per lo più degradate, pochi negozi, gruppi di persone che parlano fra loro. Ci accoglie nella sua casa mamma Agata, una delle poche donne africane presenti che prepara un piatto per tutti. Ci troviamo nel giardino, accorrono in tanti. Magari con la speranza che il politico che viene da Roma porti buone notizie. Anche qui, le persone si raccontano volentieri e i problemi sono sempre gli stessi. Quando li salutiamo, un uomo giovane con le lacrime agli occhi mi dice: “Voglio vedere mia madre, è dal 2002 che sono qui e da allora non la vedo”. Non è il solo, quasi tutti hanno lasciato in Gana, in Senegal o nella Costa d’Avorio i genitori e anche i bambini. Dovremmo andare a fare visita in un’altra frazione ma Fabio e Mimma, che sono molto ospitali, vogliono che concludiamo la giornata portandoci via un po’ di speranza e ci fanno incontrare l’altra faccia di Castel Volturno, quella del regolare permesso di soggiorno. Valeria, rifugiata delle Liberia, con la figlia Celine che ha frequentato il 4° anno dell’istituto alberghiero e parla un italiano fluente, hanno aperto il ristirante ‘african point’. Ci offre il cous cous con molte verdure e spezie in un locale accogliente, pulito e pieno di colori dove una tv trasmette programmi africani. Regolarizzare queste persone, senza ricorrere a sanatorie ma con interventi mirati, applicando la nuova direttiva europea che prevede la denunciare del datore di lavoro che sfrutta immigrati irregolari e mettere in galera chi affitta a prezzi esosi case degradate e letti nel giardino, sono misure che cambierebbero il volto di Castel Volturno e di tanta parte del Mezzogiorno. Ne guadagnerebbero anche gli italiani onesti del posto e sarebbe un colpo alla criminalità. Su questi aspetti insistono molto Fabio, Mimma, Gianluca e gli altri. Noi lo diremo al ministro Maroni. Queste misure sarebbero un tassello a quella lotta alla criminalità che lui sta conducendo con impegno.


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