“Io”, “Noi” e le donne. Intervista a cura di Natalia Marino
“Ho avuto la fortuna di vivere la politica come passione”, spiega Livia Turco, già parlamentare e ministra, oggi presidente della Fondazione Nilde Iotti. Forse è una delle ragioni del calore con cui si è rivolta alle donne con la lettera aperta “L’onda d’urto femminile”, affinché tornino a reagire, a riprendere le redini delle loro vite. Nella consapevolezza che il dramma vissuto, e ancora viviamo, per il Covid-19, ha segnato per sempre un prima e un dopo. E se indilazionabile è costruire un nuovo modello di sviluppo, l’universo donna deve tornare ad essere protagonista.
“Care donne – abbiamo letto – dobbiamo costruire un’onda d’urto che invada la società e le istituzioni della politica”. Parole forti, Turco.
Con la pandemia ci siamo scoperti fragili e interconnessi gli uni agli altri e strettamente legati all’ambiente. Abbiamo capito che non siamo onnipotenti signori del mondo, ma solo una parte. Il Covid ci impone un cambiamento radicale, antropologico direi, altrimenti saranno guai. Va rimesso al centro il “noi”, i beni comuni. Finora siamo andati avanti ubriachi di “io” e ci siamo ritrovati in un dramma epocale. Non va dimenticato. E l’interdipendenza può solo essere elaborata in solidarietà, relazione umana, nel prendersi cura delle persone, nella convivenza tra culture diverse. Cioè quello che le donne hanno sempre sostenuto. I fatti oggi ci danno ragione. Ho preso atto però che le donne sono sparite dalla scena politica, la coralità delle donne, intendo.
Assenti o silenti, secondo Turco?
Mi spiego con un esempio. Dopo Chernobyl, con le donne del Pci, le scienziate, le realtà femminili e femministe promuovemmo un convegno. Ci interrogammo e scoprimmo la coscienza del limite, il valore del lavoro di cura, della tutela dell’ambiente, la centralità dei beni comuni, della comunità. E queste categorie politiche sono la cassetta degli attrezzi che abbiamo elaborato, intendo la mia generazione, ed è utilissima in questo tempo, indispensabile. So bene che nel passato non siamo riuscite a imporre questi strumenti ma appunto per questo mi vien da dire: se non ora quando? Alla imprescindibile condizione, sia chiaro, di aver la consapevolezza e di condividere la portata, radicale ribadisco, del cambiamento da realizzare. E quindi anche della pratica politica, perché prendersi cura è pratica politica. Ma è urgente elaborare ora un’idea di società, e adesso è anche il tempo delle decisioni politiche. Che tipo di sanità vogliamo? e che servizi sociali intendiamo avere di fronte all’esplodere dell’invecchiamento, oppure le esigenze dei bambini costretti a vivere il lockdown isolati in casa? Questo è il tempo delle scelte.
Eravamo ancora in lockdown quando il 2 giugno, Livia Turco, in qualità di presidente della Fondazione Nilde Iotti ha partecipato all’iniziativa di omaggio alle Madri Costituenti promossa dall’Anpi per celebrare la Festa della Repubblica. Nella lettera c’è un esplicito richiamo alle 21 donne elette nella prima assemblea democratica.
Io sono grata all’Anpi e alla nostra carissima presidente Carla Nespolo per questo straordinario 2 giugno. È stato bellissimo e importante ricordare le 21 Madri costituenti che ci hanno insegnato esattamente ciò che oggi manca alle donne: il valore del “noi”, del gioco di squadra. Vedo una pluralità di iniziative, una grande generosità, tante iniziative; ma quanto incide, concretamente, questo fare? Le Costituenti, al di là degli articoli della Carta, ci hanno lasciato in eredità una “vivente lezione”, cioè il modo di essere rappresentanti delle cittadine e dei cittadini, il legame fortissimo tra la politica e la vita delle persone, la loro capacità di essere “noi”. È possibile ricostruire questo “noi”? Io so bene che il mondo delle donne è plurale, che ci sono tanti femminili e femminismi, che esistono tante esperienze e che la pluralità è una ricchezza. Lo so bene. Pongo tuttavia questa domanda: stiamo incidendo nel modo più coerente con la nostra forza?
Come immagina ci si possa rivolgere alla coralità delle donne del nostro Paese?
Il punto è proprio questo. Il “noi” è il popolo delle donne. Mi piacerebbe che la pluralità delle donne facesse un gesto, che battesse un colpo. Desidererei, confesso, una giornata con una grande mobilitazione delle donne. Non immagino affatto un’organizzazione femminile unica, per carità. Il “noi” che intendo è una predisposizione interiore al confronto, al costruire alleanze, è l’uscire dall’autoreferenzialità per costruire un legame con il popolo delle donne. Il richiamo alle 21 Madri è il “noi” e insieme il popolo delle donne, oggi è fondamentale la di pratica politica. Che senso ha dire “io mi prendo cura” e non essere immersi nel drammi sociali che viviamo?
Le donne italiane hanno molto combattuto e conquistato. Si tratta di passare il testimone?
Non è esattamente così. La generazione a cui appartengo la sua parte l’ha fatta, ed ora certamente deve passare il testimone ma ha il dovere di esserci ancora, ha l’obbligo della resilienza, della resistenza. Per intenderci. Nell’ultima legislatura le donne sono state protagoniste, numericamente significative, hanno fatto molte leggi, però non si è affatto percepita la forza delle donne e non si sono rese conto di quanto ancora sia lunga la strada da percorrere. È piuttosto prevalsa l’idea che bastasse l’affermazione, la consapevolezza e la bravura sul piano individuale, che fosse sufficiente fare buone alleanze con i maschi. Così non si è tentato un gioco di squadra. Invece le teche di cristallo esistono ancora in politica e adesso si ritroviamo a misurare disparità e discriminazioni. Ho sentito dire troppo spesso “Io, per la prima volta” in occasione di provvedimenti in favore delle donne. Ma come è possibile se quelle stesse battaglie le donne le hanno già portate avanti tanti anni fa? Quindi c’è stata la volontà di rompere nettamente con le generazioni precedenti. Da parte mia, credo molto nel rapporto tra madri e figlie perché ho conosciuto la bellezza di vivere questo tipo di rapporto. Penso a Nilde Iotti di cui quest’anno festeggiamo il centenario della nascita: un modello di leadership molto attuale, una grande personalità perfettamente conscia dei suoi talenti. Ma aveva sempre in mente il “noi”, le altre donne, ed è stata costante promotrice di una politica popolare. Che oggi si è smarrita. Nilde e così Giglia Tedesco, Adriana Seroni e tante altre donne del Pci avevano voluto fortemente investire sulle giovani compagne, che a loro volta non predicavano la rottamazione, sapevano ascoltare. Oggi vuol dire rimanere in campo, a prescindere da luoghi e ruoli. Non solo in politica, dove si decide, e sempre con l’umiltà della pratica.
Come ci si rivolge alle giovani, qual è il terreno di incontro?
Ricostruendo un’alleanza generazionale, questo è il tema. All’interno di una stessa radicalità di pensiero. Nilde Iotti non si definiva femminista però ci è stata accanto, eccome. Questo è il tema: ricostruire la dimensione del “noi”. Naturalmente se condividiamo il punto di partenza: la tragedia del Covid ha cambiato completamente lo scenario e le donne sono quelle che stanno pagando di più, ancora una volta. Il mondo di precarietà, irregolarità, fatica, lavoro dequalificato è soprattutto femminile. Si tratta dunque, prima di tutto, di dare dignità al loro lavoro in un mercato occupazionale drammaticamente diviso tra le poche fortunate tutelate e le migliaia di precarie. Vogliamo riprendere a ragionare sul rapporto tra tempo di lavoro e tempo di vita? Sull’idea che la vita è un ciclo e ogni stagione ha il diritto di esprimersi? Sulla mescolanza dei tempi della vita? La questione del tempo è cruciale, concretissima. Oggi il tempo di lavoro è diventato tiranno, prosciuga, annienta gli altri spazi esistenziali. Le donne non hanno alcuna possibilità di scelta; pur di avere uno straccio di occupazione sono costrette ad accettare condizioni pesantissime e su di loro continua a gravare la cura degli anziani e dei figli. Non dimentichiamo che nel nostro Paese i servizi sociali sono praticamente inesistenti, nonostante siano trascorsi ben 20 anni dall’approvazione della legge quadro 328 sulla rete integrata dei servizi sociali. Ciò è accaduto perché ha prevalso la cultura neoliberista, con i bonus, l’esaltazione del dono e della gratuità, dei trasferimenti monetari, con il pretesto che le persone devono essere libere di scegliere… Ecco così siamo tornati all’assistenzialismo più becero anziché avere un welfare promotore delle capacità e del benessere delle persone tirar fuori le abilità anche delle persone più fragili. E la sinistra è stata subalterna.
Un j’accuse anche alla sua parte politica.
Insisto, oggi serve un cambiamento radicale se vogliamo finalmente costruire un welfare moderno, europeo in cui i servizi sociali siano considerati un grande investimento per lo sviluppo, l’occupazione, la crescita. Di questo hanno bisogno le donne. I servizi sociali non devono mendicare briciole. Nel welfare italiano deve esserci un unico fondo sociale, basta con la frantumazione fra fondi e fondini, e livelli sociali di assistenza obbligatori in una rete integrata di servizi. I governi dell’Ulivo avevano varato una grande e utilissima riforma che avrebbe saputo rispondere anche alla crisi epocale dettata dal coronavirus, se fosse stata applicata. Serve un welfare di comunità. Chiediamocelo: vogliamo costruire davvero un’alternativa alle Rsa, dove per il Covid sono morte centinaia di anziani? Vogliamo ritrovare il coraggio che ebbe Basaglia nel chiudere i manicomi? La pandemia ha portato allo scoperto problemi che avevamo, non possiamo più permetterci di cincischiare. È arrivato il tempo della radicalità.
L’antifascismo può avere un ruolo utile in questa visione?
L’antifascismo coincide con i valori della democrazia. E sul tappeto, non nascondiamolo, c’è la necessità di far rinascere la politica. Dobbiamo dire basta alla politichetta, dare peso al Parlamento. Ho scritto di un’onda d’urto che decida l’agenda politica e di governo del nostro Paese e che dobbiamo farlo oggi. Girando l’Italia per rendere omaggio a Nilde Iotti ho incontrato tante straordinarie persone, e sono state bellissime occasioni di dialogo. Pesaro ha dedicato a Nilde i centralissimi giardini del lungomare, inaugurati alla presenza del sindaco Matteo Ricci; a Torrita di Siena la piazza principale ora porta il suo nome; a Napoli abbiamo proposto all’Assemblea degli amministratori di intitolare strade e piazze alle donne Costituenti perché Nilde non avrebbe voluto essere ricordata da sola. Ed è questa la grande lezione ancora viva e attuale delle 21 Madri: intendere la rappresentanza come strumento per dare voce a donne e uomini liberi, protagonisti del loro futuro.
Natalia Marino