Perché il Pd “ricostruisca” la sua comunità
di Livia Turco, da l’Unità del 27 maggio 2013
Il Partito Democratico se vuole ripartire, se vuole interloquire con la sofferenza che hanno nel cuore tanti elettori che silenziosamente ci stanno voltando le spalle deve darsi una scossa morale, recuperare una dimensione etica della politica, ricostruire una comunità.
Deve riscoprire e far rivivere la fraternità. Altrimenti gli aggiornamenti delle analisi,gli studi,le proposte concrete, le iniziative saranno inefficaci perché non troveranno la testa ed il cuore su cui camminare e non trasmetteranno quell’elemento essenziale che li rende credibili:il sentimento,la passione di chi ci crede e mette a disposizione se stesso per realizzarle. Ma, questo mettersi a disposizione presuppone che si sia parte di una comunità,che ci sia una fraternità con altre donne e uomini con cui quelle idee si portano avanti e si condividono. Diventano parte di un progetto e di una battaglia politica condivisa.
Le vicende che hanno portato alle dimissioni di Pierluigi Bersani segnano la rottura della comunità del PD.
Personalmente la vivo cosi’. Sento che non siamo più una comunità.
Quando in un passaggio cruciale per l’Italia , un grande partito come noi siamo ,che ha contribuito a salvare l’Italia dal baratro della crisi finanziaria battendosi ostinatamente per la giustizia sociale, si trova per la prima volta di fronte alla responsabilità di concorrere per il governo del Paese, vede parte di suoi eletti tradire nel segreto dell’urna le regole discusse in modo collettivo senza che nessuno,tranne rari casi, pubblicamente motivi le ragioni del dissenso, sacrificando cosi’ due Padri del nostro partito e del nostro Paese,allora non siamo solo di fronte al fallimento della politica ma alla rottura di una comunità. E non è sufficiente la discussione sugli errori di linea o di gestione,qui c’è un elemento che attiene alla moralità dei comportamenti politici,al rapporto tra etica e politica.
E’ utile ritornare sul discorso che Pierluigi Bersani ha svolto nella riunione della direzione quando confermò le sue dimissioni”noi vogliamo costruire un soggetto politico o vogliamo allestire uno spazio politico”?
Non è questione di pluralismo. Anzi,benedetto è il pluralismo quando comporta idee che si confrontano ed hanno la curiosità di ascoltarsi reciprocamente,di competere per poi arrivare ad una sintesi. Se la politica è bene comune ,se il partito è una comunità a servizio del Paese allora non basta esprimere le proprie differenze,bisogna fare la fatica della sintesi .Quando ci siamo riusciti siamo stati utili al Paese,credibili,autorevoli e sono state belle le relazioni umane tra di noi.
Per recuperare credibilità la politica ha bisogno non solo di proposte efficaci ma di persone che ci credono. Proposte senz’anima non comunicano nulla. Bisogna saper trasmettere l’empatia,il trasporto emotivo,che non si inventa .O c’è o non c’è. C’è se dentro brucia la passione politica,se c’è la determinazione e la generosità a battersi ed a spendersi per gli altri..
Dobbiamo liberarci ,noi dirigenti, dalla” patologia dell’io” in cui siamo caduti, recuperare il senso della fraternità, smetterla d i viverci come tribù che si guardano in cagnesco. La nostra gente soffre molto di tutto questo.
Ciò di cui parlo non è questione di sentimenti o di buone maniere ma è l’anima della politica,ciò che la rende efficace. In questo tempo di crisi economica ma anche morale e culturale per battere le diseguaglianze,per creare giustizia sociale non bastano le risorse economiche. Bisogna mettere in campo le relazioni umane,stare accanto alle persone,condividere i loro problemi,creare legami comunitari. Non si costruisce inclusione sociale senza relazioni umane,non si costruisce la democrazia senza la partecipazione attiva degli ultimi e dei penultimi. C’è una parola che appartiene al vocabolario della Chiesa e del volontariato e che credo oggi dovrebbe costituire una parola ed una pratica eccellente della politica:”condividere”.
Condividere significa mettersi nei panni degli altri,di chi sta peggio,poter dire a chi ti sta di fronte”io ci sono, Io capisco,io mi prendo cura”.
Una politica che non sa condividere,che non sa praticare i luoghi della società a partire da quelli del disagio e della sofferenza è una politica inutile perchè inefficace. Me ne rendo conto quando sono nei luoghi in cui
ho scelto di ritornare a svolgere attività di volontariato,tra i poveri e gli immigrati dell’ospedale S.Gallicano di Roma o nelle associazioni che si occupano di disabilità grave. Da qui sento il silenzio assordante della politica,non solo perché si ostina considerare marginali le politiche sociali ma perché non è animata da persone che vanno incontro agli altri.
Alcuni giorni fa su questo giornale Michele Ciliberto scrivendo del rapporto che si è interrotto tra sovranità e rappresentanza ci mette in guardia da un sentimento profondo che pervade il nostro paese che è quello del “risentimento” come rivalsa,rivolta,rovesciamento e rifiuto dei valori civili e politici ordinari,a partire da quelli della democrazia rappresentativa. Per contrastare questo”risentimento” , io credo,c’è bisogno di una politica capace di decidere,di risolvere i problemi e che riscopra la bellezza di essere umana e prossima. Il congresso del PD sarà di vera rifondazione non solo se realizzerà un confronto approfondito sulle idee, non solo se metterà in campo il progetto di un nuovo modello di sviluppo e di democrazia ma se farà una discussione animata dalla curiosità verso le persone in carne ed ossa,per diventare un partito che vive nel territorio,che conosce e pratica i luoghi della vita quotidiana,che tesse relazioni umane. Insomma, se costruisce se stesso come una comunità accogliente.
Livia Turco