Altro che bigotta. In piazza perché donna
Ecco l’intervento di Livia Turco su Il Riformista del 12 febbraio scorso.
Ecco l’intervento di Livia Turco su Il Riformista del 12 febbraio scorso.
Care colleghe del centrodestra,
ho firmato l’appello “se non ora quando “ per la difesa della dignità femminile di fronte alle vicende che coinvolgono il Presidente del Consiglio e sarò il 13 in piazza a manifestare. Mi rivolgo a voi direttamente per stima. Mi rivolgo ad alcune in particolare - Stefania Prestigiacomo, Isabella Rauti, Alessandra Mussolini, Giustina Destro, Adriana Poli Bortone, Lella Golfo - per aver condiviso, su fronti opposti, comuni battaglie per i diritti delle donne. Oggi ci separa un conflitto radicale. Tante volte dal conflitto può scaturire un nuovo dialogo, se c’è rispetto reciproco e chiarezza. E’ questo il senso del mio rivolgermi a voi. Vorrei dirvi perché mi sento lesa della mia dignità di donna dal Presidente del Consiglio. Per due fatti che non appartengono alle indagini in corso ma alla dimensione pubblica e simbolica:
1 Berlusconi ha promosso in consiglio regionale una donna non in nome della sua competenza o del suo consenso elettorale ma della sua privata relazione sessuale.
2 Berlusconi ha avuto ripetute relazioni sessuali a pagamento con giovani donne.
Stiamo parlando non di un uomo qualunque ma del Presidente del Consiglio. I suoi gesti incidono nella dimensione simbolica e pubblica, contribuiscono a costruire la cultura e il senso civico di una nazione. Questi due fatti colpiscono il cuore del rapporto donne, politica e democrazia. Ricorrono i 150 anni dell’unità d’Italia. Se ripercorriamo le tappe della costruzione della cittadinanza sociale civile e politica delle donne ci rendiamo conto che il suo talismano risiede nell’esercizio dell’autonomia di pensiero e di azione attraverso l’alleanza e il reciproco riconoscimento tra donne. Nessuna delle conquiste, a partire dal diritto di voto, sarebbe stato possibile se alcune donne non avessero attivato la forza e l’acume del loro pensiero e non avessero promosso la partecipazione di tante. Se è vero che questa da sola non sarebbe bastata, che ci vollero alleanze politiche, tuttavia senza la messa in campo di un pensiero autonomo e di un esercizio dell’autonomia femminile ed anche del conflitto con gli uomini le donne non sarebbero diventate cittadine.
Introdurre da parte della massima autorità politica tra gli oggetti dello scambio sessuale in una relazione privata le istituzioni pubbliche significa “privatizzare” un bene pubblico (altro che invasione nella sfera privata del premier!), degradarlo a qualunque oggetto di scambio, e colpire l’autonomia delle donne. Oltre che colpire i valori della nostra Costituzione e della Carta Europea dei diritti umani fondamentali. Questo gesto è altamente simbolico e getta un’ombra su tutte. Tutte siamo sospette di essere in Parlamento per via di una relazione con qualche uomo anziché per la nostra forza, per i nostri meriti e le nostre competenze. Sospetto alimentato da una legge
elettorale per cui designati e non eletti. E, sulle designate, ricade pesante il sospetto di essere le protette del capo e non donne autorevoli e autonome. Possiamo discutere di questo? Possiamo porci insieme la domanda: come essere autonome ed autorevoli, valutate per ciò che sappiamo fare per le nostre competenze? Dobbiamo limitarci a conquistare più spazio nelle istituzioni oppure avere l’ambizione di cambiare le regole del gioco? Non pensate che noi donne avremmo tutto da guadagnare se nella politica le logiche della fedeltà, della cooptazione, fossero sostituite da quelle della valutazione delle capacità, del merito, del rapporto con il territorio e con le persone?
L’altra questione che voglio sottoporre alla vostra attenzione è quella della libertà sessuale. Anch’essa è stata una grande conquista delle donne che ha cambiato profondamente le relazioni umane e sociali del nostro paese. Non c’è dubbio che le giovani donne che decidono di vivere relazioni sessuali in cambio di compenso e promozione esercitano la loro libertà e vanno rispettate. E’ altrettanto evidente che da questa affermazione dovrebbero derivare delle conseguenze come ad esempio considerare normale la regolamentazione della prostituzione. Inoltre, come conseguenza, in nome della libertà vanno rispettate tutte le scelte, compresa quella di avere un figlio con le nuove tecniche a disposizione, avere un figlio da sole, vivere l’omosessualità. Se il principio è la libertà non possiamo poi parlare di egoismo femminile.
Personalmente non credo ad una libertà senza valori. La conquista della libertà sessuale, grazie al femminismo, non significò il libero arbitrio, il libertinismo o la semplice rottura di divieti. Significò al contrario l’esperienza e l’elaborazione di una nuova femminilità, di una nuova umanità femminile. Fu innanzitutto uno straordinario viaggio interiore, un forte sviluppo della propria interiorità. Ha significato costruire se stesse al di fuori dello sguardo e del desiderio maschile, rompere gli stereotipi culturali che incarceravano la nostra femminilità.
Ha significato ricercare dentro se stesse le ragioni delle proprie scelte, vivere i sentimenti e le relazioni umane con una nuova consapevolezza e responsabilità. La nostra umanità di donne scaturita dalla libertà sessuale ha avuto ed ha il timbro della maggiore consapevolezza, della più forte autenticità ed intensità dei sentimenti e di una più consapevole responsabilità verso l’altro.
Questa nuova umanità delle donne è stata però ingabbiata in una rappresentazione che ha esaltato la libertà come rottura dei vincoli come pura esteriorità, come semplice esibizione del corpo. E’ stata accompagnata dal mito del successo individuale, della competizione, dell’arricchimento. E’ questo il relativismo etico che ci ha travolte ed ha nascosto e tante volte ostacolato la nostra nuova umanità. Tale relativismo etico ha molte origini, ed è stato diffuso anche dal martellante messaggio a partire dalle tv del Presidente del Consiglio.
Come rappresentare l’umanità vera delle donne e la loro nuova femminilità che vive ogni giorno nei luoghi di lavoro e nelle case è un problema reale che possiamo porci insieme? Questa nuova umanità delle donne non dovrebbe essere anche ascoltata dalla politica e da essa sollecitata a costruire un nuovo senso civico e di valori condivisi di questa nostra nazione? Personalmente sono convinta che nella vita delle donne italiane sia depositato un giacimento di risorse morali che dovrebbe essere riconosciuto dalle classi dirigenti del nostro paese e che le donne dovrebbero essere chiamate non solo al governo della cosa pubblica ma, prima ancora, alla costruzione di un clima culturale di rispetto dell’altro, di pacatezza, di mitezza, di valorizzazione dei beni comuni di cui il nostro paese ha bisogno per tornare a crescere e per dare un futuro ai giovani.
Livia Turco
“Una Giornata come questa dovrebbe essere dedicata alla riflessione e, soprattutto, a iniziative concrete di sostegno alle famiglie che hanno persone in stato vegetativo da assistere”. “Ma il Governo ha scelto la via della provocazione”. Così, in un’intervsta a Quotidiano Sanità, Livia Turco ha commentato la scelta del Governo di far coincidere la Giornata nazionale degli Stati Vegetativi, celebrata ieri, con la data della morte di Eluana Englaro avvenuta il 9 febbraio 2009.
Leggi l’intervista su: http://www.quotidianosanita.it/cronache/articolo.php?articolo_id=2794&&cat_1=1&&cat_2=0&&tipo=articolo
Esprimo il mio cordoglio e la mia vicinanza alla comunità Rom, tragicamente colpita da un atroce e inammissibile incidente la scorsa notte. I primi punti del programma di Alemanno, eletto nel 2008 in seguito ad un battage elettorale sui temi della sicurezza urbana, riguardavano proprio il “Piano nomadi”. Dov’è finito il piano? Che cosa conteneva? Abbiamo visto solo una serie di sgomberi effettuati in modo casuale e frettoloso, con lo scopo di comparire in bella evidenza nei titoli dei giornali. A quando, invece, l’attuazione di una politica seria fatta di regole da rispettare ma anche di opportunità? A quando la realizzazione di un Piano Nazionale di integrazione che coinvolga le Regioni, i Comuni, gli Enti locali e i rappresentanti delle comunità Rom per promuovere un efficace inserimento sociale e lavorativo di queste comunità? A quando l’utilizzo dei fondi comunitari dedicati e già disponibili, ai quali per scelta o incapacità questo governo non ha mai attinto?
Livia Turco
“La forma più acuta del degrado contenuta nella vicenda sessuale del presidente del Consiglio è che lo scambio sesso-potere coinvolge le istituzioni pubbliche”, questo l’incipit di un articolo di Livia Turco pubblicato il 5 febbraio scorso su l’Unità.
“Il Pd deve portare nuovi cittadini in Parlamento”, questo l’auspicio di Livia Turco in un’intervista al sito del Forum Immigrazione del Pd, www.immigrazione.forumpd.it, all’indomani del Click Day che potete leggere anche qui.
“Questi flussi sono la clamorosa smentita della politica del governo, che per due anni ha chiuso i rubinetti degli ingressi regolari gridando “stop ai lavoratori immigrati, prima gli italiani”. Una campagna che ha fatto gravi danni, e ora la forza dei fatti costringe il governo a fare retromarcia”.
La pensa così Livia Turco, responsabile immigrazione del Partito Democratico, nel primo dei clic day che dovrebbero far arrivare in Italia (o regolarizzare) centomila lavoratori immigrati.
Meglio tardi che mai?
Non credo che questo basterà a risolvere i problemi di domanda di lavoro immigrato che c’è nel nostro Paese. Ed è grave che il decreto flussi non sia passato nelle aule parlamentari e che tutto sia stato fatto al di fuori della programmazione delle politiche migratorie prevista dal testo unico sull’immigrazione. Una vera programmazione è indispensabile per governare l’ immigrazione legale e combattere le paure dei cittadini.
Lei parla di domanda di lavoratori stranieri. Ma non c’è, piuttosto, per l’ennesima volta, il bisogno di dare un permesso di soggiorno a migliaia di clandestini?
Ci sono entrambe le cose. C’è la domanda di nuovi lavoratori immigrati, ma anche l’esigenza di regolarizzare molti irregolari. Irregolari che non sono delinquenti, ma semplicemente il risultato della combinazione tra lo stop agli ingressi regolari e la complessità delle procedure, che spingono aziende e famiglie ad assumere in nero.
Voi avevate chiesto in Parlamento una nuova regolarizzazione.
Noi abbiamo presentato un ordine del giorno e un disegno di legge per una regolarizzazione mirata in settori con più richiesta di lavoro immigrato e forti aree di irregolarità, come quelli agricolo e manifatturiero. Di fatto vorremmo estendere ad altri settori, individuati dal governo, la regolarizzazione già fatta per colf e badanti. Insisteremo ancora su questo.
I flussi non rispondono già a questa richiesta?
Sì, ma sono una risposta parziale e insufficiente. Tra l’altro, i lavoratori che sono già qui dovranno tornare in patria a prendere il visto, con un aggravio di procedure, costi e fatiche.
Sono partiti i primi testi di italiano per le carta di soggiorno. È giusto chiedere agli immigrati di imparare la nostra lingua?
Credo di sì. Soprattutto, è una grande opportunità che deve essere data a tutti gli immigrati, un tema che non deve ridursi solo al test. Noi vogliamo un piano nazionale per l’insegnamento della lingua e della cultura italiana agli immigrati, con corsi gratuiti organizzati dagli enti locali. Gli immigrati devono essere sollecitati a seguirli, devono averne le opportunità e non deve essere lasciato tutto sulle spalle del volontariato o dei Centri territoriali permanenti, già colpiti duramente dai tagli alla scuola pubblica.
Chi lavora come potrebbe trovare il tempo di imparare anche l’italiano?
Il nostro piano prevede anche che le aziende promuovano i corsi e che gli immigrati possano seguirli all’interno delle centocinquanta ore di permessi retribuiti previste per motivi di studio.
Chi pagherebbe i corsi?
Abbiamo previsto uno stanziamento 30 milioni di euro dal 2011. Deve esserci un fondo pubblico a cui concorrono governo e regioni, si può prevedere inoltre che vi confluiscano risorse private e parte di contributi versati dagli stessi lavoratori stranieri all’inps.
La direttiva europea sui rimpatri non è stata recepita in tempo e ora diverse procure stanno bloccando gli arresti dei clandestini. Che ne pensa?
Quella direttiva è una smentita clamorosa della Bossi-Fini, bisogna cambiare la legislazione italiana e questo è un duro colpo per la politica del governo. Non credo che la gestione di questo grande tema vada lasciata alla discrezionalità di magistrati che valutino e interpretino di volta in volta la direttiva. Bisogna prenderne atto e adeguare subito la legislazione italiana.
Maroni ha annunciato contromisure. Crede che il governo si adeguerà?
Non credo, vedo purtroppo il rischio di un ennesimo braccio di ferro con l’Europa, come per altre norme del pacchetto sicurezza.
Il Pd ha stretto un accordo con il Psd romeno per coinvolgere i romeni in Italia, anche in vista delle elezioni amministrative. Inoltre vi siete impegnati a candidare un italo-romeno in Parlamento…
Quell’accordo è coerente con la nostra battaglia per il diritto di voto degli stranieri. Qui poi parliamo di cittadini europei, della più grande comunità nel nostro Paese, bisogna coinvolgerli direttamente nella vita politica. Non possiamo demandare tutto a proposte di legge e petizioni e aspettare che in Parlamento ci sia maggioranza per il diritto di voto. Intanto facciamo crescere la cultura della cittadinanza e della partecipazione.
L’Italia è pronta per un parlamentare romeno?
Penso proprio di sì, e credo che il Pd debba candidare anche persone originarie di altri Paesi. È una battaglia che ho sempre portato avanti e stavolta vorrei essere più ascoltata dal mio partito rispetto al passato. L’idea di una nuova Italia e di una nuova classe dirigente deve prevedere anche nuovi cittadini in parlamento, non soltanto uno.
Eppure qualche giorno fa Walter Veltroni ha puntato il dito contro i cinesi che votavano alle primarie a Napoli come se fossero la spia di brogli elettorali. Non stona un po’ con le dichiarazioni di principio del suo partito?
Quella è stata una battuta infelice, l’applicazione di uno stereotipo. Gli immigrati possono votare alle primarie e i cinesi in fila sono un segnale di integrazione nel nostro Paese, testimoniano la voglia di partecipare. Io, diversamente da Veltroni, ho pensato che chi è riuscito a portarli alle urne ha fatto un buon lavoro con la comunità cinese.