di Livia Turco
(da l’Unità del 21 ottobre)
Dove è finito i tanto sbandierato programma del governo per la lingua e la cultura italiana per gli immigrati? Di programmi, e risorse, non c’è traccia; esistono solo le meritorie iniziative di Regioni, volontariato e Comuni. C’è invece all’attenzione della conferenza Stato-Regioni e del consiglio di Stato un decreto attuativo della legge 94 del 2009, il pacchetto sicurezza Maroni-Berlusconi, che introduce il reato di immigrazione clandestina. Attraverso queste norme il governo italiano promuove una politica a punti che non ha eguali in Europa e che va in lotta di collisione con i principi contenuti della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue. Infatti, secondo la Maroni-Berlusconi, l’immigrato con più di 16 anni al momento dell’ingresso in Italia stipula un accordo di integrazione in base al quale deve apprendere, entro due anni, la lingua e la cultura italiana pena l’espulsione. Criterio di integrazione prevalente non è più il lavoro, il reddito, il rispetto della legalità ma la conoscenza della lingua e della cultura italiana. Misura paradossale e discriminatoria, che denunciamo con tutta la nostra forza. Se guardiamo all’Europa vediamo che l’Italia è un caso isolato. Infatti, negli ultimi anni diversi paesi membri hanno introdotto programmi di cosiddetta ‘integrazione civica’ con l’obiettivo non di sganciare l’ingresso dalle esigenze del mercato del lavoro, da un sistema di quote di ingresso, ma come requisito aggiuntivo per l’accesso allo status di residente di lunga durata. Si tratta della definizione, in modi diversi e variamente vincolanti, di un contratto di integrazione, sul modello proposto da Giuliano Amato nell’ultimo governo Prodi, legato ad una adesione ai principi democratici dello Stato di diritto e alla conoscenza della lingua. Questo è ciò che accade in Europa. Di fronte alla individuazione della conoscenza della cultura del paese ospite quale fattore prioritario di integrazione e addirittura di permanenza nel nostro paese (perché ripeto con tutta l’indignazione possibile, l’immigrato viene espulso se non sa correttamente l’italiano), il minimo di decenza da parete del governo avrebbe voluto che si stanziassero risorse e programmi per la cultura italiana, che si promuovessero corsi con le aziende e si attivasse la scuola pubblica. Di tutto ciò il governo non ha fatto niente. Il regolamento attuativo del pacchetto sicurezza prevede infatti che i programmi di lingua e cultura italiana siano a somma zero. Per questo il Pd presenta una proposta alternativa che prevede la cancellazione di questa norma discriminatoria e antieuropea e la previsione di un programma nazionale di lingua e cultura italiana con stanziamenti pubblici e privati (20 milioni annui) e un incentivo all’immigrato che partecipa ai corsi medesimi consistente nell’anticipazione della carta di soggiorno per chi frequenta i corsi e supera la prova finale nei primi tre anni di permanenza in Italia.