Livia Turco ha presentato una mozione alla Camera per impegnare il Governo ad una vera politica di integrazione e per attuare azioni efficaci contro lo sfruttamento degli immigrati, “perchè - ha sottolineato Livia Turco - ci vuole un vero e proprio Piano nazionale per le politiche di integrazione e di civile convivenza”.
Ecco il testo della mozione che sarà discussa prossimamente dalla Camera.
La Camera,
premesso che:
i fatti di Rosarno hanno evidenziato l’esistenza nel nostro paese di sacche di sfruttamento del lavoro e di situazioni di pesante degrado umano e sociale che non possono in alcun modo essere tollerate;
tali situazioni sono connesse, da un lato, alla presenza di una feroce criminalità che controlla il territorio e, dall’altra, alla diffusione del lavoro nero che interessa prevalentemente le regioni meridionali, ma che coinvolge l’insieme del nostro paese;
lo sfruttamento del lavoro nero colpisce in modo particolare le persone più vulnerabili e fragili , tra queste gli immigrati privi del permesso di soggiorno. Essi sono tenuti in condizioni di irregolarità dai loro sfruttatori per procrastinare ed accentuare la vulnerabilità e la debolezza sociale e far apparire senza alternative la condizione di sfruttamento;
il lavoro nero è l’area in cui maggiore è la competizione tra gli immigrati ed i lavoratori italiani perché lo sfruttamento degli uni abbassa le tutele degli altri e questo è tanto più vero nel settore agricolo, dove un lavoratore su dieci è straniero e dove, al sud, solo un terzo sono regolari con situazioni di sfruttamento gestite da un caporalato molto spesso sotto il controllo della criminalità organizzata (i lavoratori extracomunitari nel settore agricolo sono circa 75 mila, contando i 64 mila contratti a tempo determinato e gli 11 mila stagionali. Altri 15 mila lavoratori sono a tempo indeterminato. In tutto 90 mila braccianti immigrati, che però superano i 150/200 mila se si considerano anche i lavoratori stranieri neo comunitari come i rumeni o i polacchi);
il governo vanta la riduzione degli sbarchi via mare, ma tace sui settecentomila immigrati irregolari presenti in Italia che sono conseguenza della legge Bossi-Fini e delle politiche governative di chiusura degli ingressi regolari per lavoro. I lunghi e farraginosi meccanismi dell’ingresso per lavoro (mediante la cosiddetta chiamata nominativa o numerica di uno straniero sconosciuto residente all’estero); la brevità della durata dei permessi di soggiorno, la macchinosità e i tempi lunghi del loro rinnovo sono tutti fattori che rendono alta la probabilità che un lavoratore regolare diventi irregolare suo malgrado. Il Governo inoltre ha previsto un solo decreto flussi per lavoro stagionale, non ha presentato il documento triennale sulle politiche migratorie previsto dall’art 3 del decreto legislativo 286/98 ed ha cancellato il fondo per le politiche di integrazione. A ciò si aggiunga il rallentamento della lotta all’evasione, all’economia sommersa e al lavoro nero. Più ampia è l’economia sommersa, più alta è la domanda di lavoro irregolare maggiore è la domanda di irregolari stranieri;
la direttiva UE sulla sanzioni contro i datori di lavoro e lo sfruttamento del lavoro irregolare non è stata recepita nell’ultima legge comunitaria nonostante le reiterate richieste in tal senso da parte del gruppo PD sia in Commissione che in Aula. E nonostante la stessa direttiva UE “Rimpatri” (2008/115 EC), di per sé già molto restrittiva, è stata recepita in Italia unicamente per la parte relativa alla possibilità di allungare i tempi di permanenza nei CIE, mentre è stata del tutto disattesa – e non recepita – tutta la parte restante, basata sull’idea dei rimpatri volontari, che potrebbe costituire una nuova base per collegare – finalmente – politiche dell’immigrazione e politiche della cooperazione allo sviluppo;
le condizioni sociali e di vita delle persone sono parte integrante della legalità e della sicurezza, pertanto l’integrazione e l’inclusione sociale delle persone immigrate sono un dovere di ciascuna comunità da realizzare attraverso una collaborazione costante tra i diversi livelli istituzionali ed il dialogo sociale;
la realtà dell’immigrazione del nostro paese è un fatto positivo, strutturale e duraturo e se correttamente gestita può corrispondere alle necessità della nostra economia, delle nostre famiglie, del nostro welfare. Se le porte fossero chiuse all’immigrazione, la popolazione giovane in età attiva, tra i 20 e i 40 anni, scenderebbe, tra il 2010 e il 2030, da 15,4 a 11,3 milioni: una diminuzione di oltre 4 milioni, 200.000 unità in meno per ogni anno;
nei nostri territori sta sempre più crescendo un’Italia della civile convivenza. Ne sono protagonisti gli Enti locali, le associazioni di volontariato, la Chiesa, i sindacati, gli imprenditori e le forze economiche e sociali, gli insegnanti, le famiglie. Questa Italia della civile convivenza deve essere conosciuta, valorizzata e sostenuta nel suo impegno dalle istituzioni. L’esempio dei successi dell’integrazione può combattere la paura e creare legami positivi tra italiani e immigrati;
l’integrazione è dunque un’interazione tra persone di culture diverse che hanno l’obbligo di rispettare i valori e le regole del paese ospitante ma, hanno anche il dovere di arricchirli attraverso la conoscenza reciproca e lo scambio umano e culturale. Nel Patto Europeo per l’immigrazione, la Commissione invita gli stati membri a “porre in essere una politica d’integrazione armoniosa, favorendo la partecipazione dell’immigrato alla sfera civica, al mondo del lavoro, all’istruzione, al dialogo interculturale cercando di eliminare ogni diversità di trattamento che risulti discriminatorio per il cittadino terzo”;
al 1 gennaio 2008 i residenti stranieri nati in Italia, la cosiddetta “seconda generazione” sono circa 457.000, e i minori stranieri in Italia rappresentano circa il 22% degli stranieri residenti;
sono loro a mostrarci la possibile soluzione per una civile convivenza tra le molteplici culture; sono loro a mostrare una convergenza di abitudini, di costumi con i coetanei italiani, una voglia di integrazione con gli italiani e un’apertura mentale che si scontra con la chiusura della nostra società, della nostra legislazione e, se vogliamo una vera integrazione, non possiamo certo trattarli come figli di un diritto minore;
il Patto Europeo per l’immigrazione del giugno 2008, sottoscritto anche dal Governo italiano propone una gestione dell’immigrazione incentrata attorno agli obiettivi della prosperità, della sicurezza e della solidarietà. ”Le migrazioni internazionali possono rappresentare un’opportunità, costituendo un fattore di scambio culturale, umano, sociale ed economico. Il potenziale dell’immigrazione può essere considerato maggiormente positivo soltanto con un’integrazione riuscita nelle società dei paesi ospitanti:”
impegna il Governo:
ad adottare tutte le misure per combattere ogni forma di sfruttamento del lavoro attraverso una rigorosa applicazione della normativa vigente, in modo particolare l’articolo 18 del decreto legislativo 286/98 che prevede un permesso di soggiorno per le persone che denunciano i propri sfruttatori; prevedendo anche l’introduzione nel nostro ordinamento del reato per grave sfruttamento del lavoro, un’autonoma fattispecie incriminatrice del caporalato, aggravata quando interessa minori o migranti clandestini;
ad applicare la direttiva europea del 18 giugno 2009 che impegna gli stati membri dell’unione europea a sanzioni e provvedimenti nei confronti dei datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare;
ad attivare tutti gli strumenti per consentire una emersione del lavoro irregolare, con particolare attenzione al comparto agricolo, attivando in modo continuativo i sistema dei controlli e promuovendo una regolarizzazione per i lavoratori agricoli stranieri da anni presenti sul nostro territorio che non abbiano commesso reati;
a prosciugare il lavoro nero e sommerso attivando canali alternativi come la regolarizzazione ad personam per coloro che contribuiscono alla individuazione di fattispecie criminose legate alla immigrazione, per coloro che compiono atti di rilevanza sociale ed umanitaria, per coloro che sono dimoranti nel nostro paese da molti anni e che abbiano dimostrato una buona integrazione;
a ridurre i tempi per il rinnovo del permesso di soggiorno, a prolungare la durata del medesimo in particolar modo in caso di perdita del lavoro ed a estendendere ai lavoratori immigrati gli ammortizzatori sociali previsti per i lavoratori italiani;
a presentare il Documento triennale sulle politiche migratorie previsto dall’art 3 del decreto legislativo 286/98 nonché a semplificare il sistema delle quote passando dal decreto annuale, elaborato dal governo con vincolo amministrativo e contenente una indicazione rigida, ad un documento poliennale elaborato da una agenzia tecnica che contenga la stima di persone immigrate ed i loro profili professionali necessarie al nostro sistema economico e sociale;
a incentivare e a semplificare l’applicazione dell’art.23 del decreto legislativo 296/98 relativamente alla formazione di personale all’estero da parte delle aziende e a introdurre lo strumento dello sponsor per la ricerca di lavoro attribuito a soggetti collettivi come i sindacati, associazioni di imprenditori e istituzioni pubbliche;
a promuovere con le Regioni, gli Enti locali, le forze economiche e sociali, il volontariato e l’associazionismo, un Piano nazionale per le politiche di integrazione e di civile convivenza tra italiani e immigrati avendo come obiettivo quello di definire una “governance” stabile, basata sul metodo della concertazione tra soggetti istituzionali e con le parti sociali, attraverso il dialogo sociale, formulando gli obiettivi di inclusione sociale, di crescita interculturale e valutandone costantemente i risultati;
ad inserire il Piano nazionale nella politica europea che definisce l’integrazione “la chiave” del successo dell’immigrazione, un processo “a doppio senso” che deve vedere protagoniste le società ospitanti ma anche gli immigrati in un percorso di adattamento reciproco fra le due società.
a promuovere nel Piano nazionale per le politiche di integrazione e di convivenza i valori costituzionali della dignità della persona, dell’eguaglianza di rispetto, delle pari opportunità, della non discriminazione, gli obiettivi della legalità e della sicurezza, dell’investimento nella scuola per tutti, della promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, della salute e del contrasto delle malattie della povertà e delle diseguaglianze nella salute, del senso civico,della partecipazione sociale e politica; del incontro e del reciproco riconoscimento tra italiani ed immigrati;
a riconoscere nel Piano nazionale alcune azioni prioritarie: contrasto del degrado urbano, del disagio abitativo, dell’estensione della educazione e della formazione interculturale, del sostegno ai bambini e alle famiglie per l’apprendimento della lingua e della cultura italiana anche da parte degli adulti, l’accesso ai servizi sociali e sanitari, con particolare attenzione ai gruppi più vulnerabili, lo sviluppo dalla figura dei mediatori culturali anche attraverso l’istituzione di un albo nazionale dei mediatori culturali e delle associazioni di mediazione culturale, l’inserimento di tempi certi per il rinnovo dei permessi di soggiorno;
a inserire nel Piano nazionale criteri e direttive per risolvere il problema delle carceri, per potenziare i servizi e sostenere le associazioni e le attività impegnate nella lotta contro la tratta degli esseri umani, nonché per il sostegno all’associazionismo degli immigrati che promuovono attività sociali e di integrazione nonché linee guida per l’estensione ai giovani stranieri del servizio civile volontario;
a prevedere il finanziamento del Piano nazionale attraverso risorse certe e sufficienti inserite un Fondo nazionale finanziato dallo stato,dalle regioni e dagli enti locali.