Articolo di Livia Turco pubblicato da “Il Riformista”, il 9 luglio 2009
C’è stato un assordante silenzio delle donne, soprattutto di noi impegnate nella politica, attorno al caso Berlusconi, Noemi, D’Addario. Condivido quanto scritto da Claudia Mancina su questo giornale: non è una questione morale e “Berlusconi non è la fonte della corruzione della politica italiana ne è il più tipico fenomeno”.
In nome di un potere monocratico e discrezionale, il Presidente del Consiglio compra il corpo femminile e lo ripaga (non importa se per compensare una relazione sessuale o una semplice adulazione) attraverso una promozione politica.
L’essere rappresentanti nelle istituzioni diventa così merce di scambio all’interno di una relazione privata, con conseguenze potenti sull’ordine simbolico attinente allo stesso rapporto uomo-donna nella politica.
Non si tratta infatti solo dell’uso del corpo femminile, delle donne oggetto, del “sollazzo dell’imperatore”. Quanto accaduto va infatti ben al di là delle questioni di stile, di comportamento personale, di coerenza tra i manifesti politici e la vita privata. Il risultato più sconcertante sta proprio nell’aver inserito il ruolo delle donne in politica all’interno della relazione servile, di dipendenza dal leader, di una relazione incentrata sullo scambio e sui favori all’interno della sfera pubblica. E se sono favori sessuali è solo un dettaglio, una variante.
Tutto questo è umiliante. Anche perché non è stato stigmatizzato da nessun uomo e donna della politica come non conforme ai nostri principi costituzionali. C’e stata una critica al comportamento di Berlusconi attinente all’etica, ai doveri di coerenza e di trasparenza di un uomo politico. Ma nessuno ha sollevato lo stravolgimento della cultura democratica, dei principi costituzionali e della stessa carta dei diritti europea che prevedono il rispetto della dignità della persona e l’eguaglianza dei diritti e dei doveri nella sfera pubblica. Con il risultato che il comportamento del premier non ha neanche avuto delle conseguenze per quanto attiene la sua funzione politica di capo del Governo.
C’è poi un altro aspetto. Forse il più imbarazzante ed amaro. Le protagoniste delle diverse vicende non erano certo le vittime del patriarcato, come ha scritto acutamente Ida Dominjanni in uno dei suoi articoli. Sono state le complici consapevoli di una relazione servile, dalla quale hanno tratto, dal loro punto di vista, dei vantaggi.
Non è certo una novità l’uso del corpo per fare carriera o affermarsi nel lavoro e rompere questa pratica ha significato per le donne riscattarsi dalla propria miseria e dalla subalternità. Viene perciò da chiedersi se questo sistema sia ritornato in auge. E se questo uso consapevole del corpo a fini di affermazione sociale non costituisca una forma di rivoluzione passiva che assume, ma svuota di significato, il principio della libertà sessuale che la pratica femminista aveva posto a fondamento della rottura del patriarcato e della nuova identità femminile. Tanto da tradursi in una banalizzazione della libertà, un suo ridursi a libero scambio, a libero consumo.
Sono convinta che questo stravolgimento della libertà sessuale sia uno dei portati dei quindici anni del berlusconismo. Sia parte integrante di quella cultura del desiderio, dell’apparire, della bellezza come pura esteriorità, del consumo come realizzazione della felicità, del tempo che si esaurisce qui ed ora.
Ma in questo c’è anche una nostra responsabilità di donne. Quella di esserci fermate. Di non aver continuato a lavorare sulla concezione della libertà per esplicitarne il suo contenuto di responsabilità e di costruzione di una nuova relazione con l’altro. Di non avere elaborato una nuova educazione sentimentale. Di non aver superato la mistica della maternità con la fondazione di una nuova relazione tra i sessi. Di non aver elaborato e promosso una battaglia per la riforma della politica e delle istituzioni che mettesse finalmente al centro la promozione del merito.
Se lo avessimo fatto oggi saremmo più forti e più attrezzate per combattere la deriva nichilista e violenta della nostra società. Saremmo più attrezzate per combattere il berlusconismo sul piano su cui non è mai stato contrastato: quello simbolico e culturale. Se Veronica Lario e Patrizia D’Addario hanno messo in scacco l’uomo Berlusconi, le donne italiane, possono, a partire da se stesse, mettere in crisi il berlusconismo, proponendo una alternativa di valori, di relazioni umane e delle forme della politica.
Livia Turco