Nato e venduto come una risposta seria e decisa contro la criminalità, il disegno di legge sulla sicurezza sta mostrando il suo vero obiettivo. Ridisegnare dalle fondamenta i diritti della persona, subordinandoli al possesso del permesso di soggiorno, trasformando così questo strumento di identificazione e regolarizzazione in un feticcio razzista e discriminatorio.
Una discriminazione palese laddove si vincola il possesso del permesso alla fruizione dei più elementari e vitali servizi pubblici, fino alle restrizioni inaccettabili al ricongiungimento familiare dei genitori naturali con i propri figli minori o al diritto di sposarsi se privi di un permesso in regola.
E tutto ciò in una realtà burocratica, come quella italiana, dove molti immigrati regolari e residenti in Italia da anni, attendono spesso anche fino a 24 mesi il rinnovo del loro permesso di soggiorno.
Chi vuole questa legge vuole imporre in Italia una cultura che non ci appartiene. Fatta di diffidenza, paura, discriminazione. Senza rendersi neanche conto dei paradossi che tale furore anti-immigrati rischia di provocare.
Il primo è il paradosso dei poveri che non hanno identità. Il ddl prevede che “l’iscrizione e la richiesta di variazione anagrafica sono subordinate alla verifica da parte dei competenti uffici comunali delle condizioni igienico sanitarie dell’immobile in cui il richiedente intende fissare la propria residenza ai sensi della vigente normativa sanitaria”. Secondo i dati Istat, una casa in cui vivere comodamente è ancora un miraggio per molti italiani: lo 0,7% delle famiglie italiane non ha i servizi igienici nell’abitazione, l’1,2% non ha una doccia o una vasca da bagno, l‘1,3% non ha l’acqua calda. Ebbene, secondo il ddl sicurezza, queste persone (circa 6/700 mila) rischiano di perdere il diritto ad avere un’identità e con essa gli si vuol far perdere anche il diritto a votare, ai servizi sanitari, alla tutela dei minori e ai servizi sociali.
Vi è poi il paradosso dell’immigrato per bene equiparato al criminale. Si manifesta con l’art. 21 del ddl che introduce il reato di immigrazione clandestina. L’aspetto più grave di questo articolo è che uniforma in un unico trattamento sanzionatorio le posizioni di chi è entrato clandestinamente e di chi, pur entrato regolarmente, si sia trattenuto in Italia più del consentito. Accomunando tutte le situazioni di soggiorno irregolare diverrà giuridicamente impossibile trattare in modo differenziato la badante che lavora onestamente alla quale sia scaduto il permesso di soggiorno da coloro che costituiscono un problema reale, perché criminali, per la sicurezza dei cittadini.
Vi è poi il paradosso della lotta alla clandestinità che genera clandestinità e società insicure. La legge contiene aggravanti per chi entra in modo clandestino basandosi quindi ancora una volta sull’assioma “più sanzioni-meno ingressi”, senza valutare come tale equazione abbia già fallito con la Bossi-Fini. Solo nell’ultimo anno gli sbarchi sono aumentati del 107%, mentre i rimpatri hanno riguardato solo il 36% degli immigrati irregolari.
Questi numeri ci dicono con chiarezza che la clandestinità si vince solo rendendo praticabile e conveniente l’ingresso regolare per lavoro e promuovendo politiche per l’integrazione. Al contrario, con questa legge, quello che prevale è la volontà di trasformare l’immigrato, di cui il nostro Paese ha un bisogno vitale, in un “ospite sgradito”. Tutto doveri e niente diritti.
Livia Turco
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