Il Blog di Livia Turco

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Intervista a il Manifesto sulle primarie del PD

1 Marzo, 2023 (09:52) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

Nella notte delle primarie Livia Turco, ex ministra della Salute, era al comitato Schlein. Così come era presente a diverse iniziative della neosegretaria, di cui è stata una grande sostenitrice fin dall’inizio. (Intervista di Andrea Carugati pubblicata su il Manifesto)

Si aspettava questo risultato?

Sì, perché col passare delle settimane avevo sentito crescere curiosità e consenso verso questa candidatura. Soprattutto fuori dai luoghi tradizionali del Pd, nel mondo del sociale, delle associazioni, tra persone che se n’erano andate dal partito. Direi nel popolo di sinistra che esiste ancora, cercava un punto di riferimento e l’ha trovato. Ho scelto subito Elly perché mi è parsa come la migliore risposta alla salita a palazzo Chigi di Giorgia Meloni.

Perché la migliore risposta? Solo per una questione di genere?

La questione di genere è molto politica. Per me e per tante donne di sinistra è stata una profonda umiliazione che la prima donna premier venisse da un partito che rivendica la fiamma tricolore nel simbolo. La fiamma di un partito che ha sempre contrastato le conquiste delle donne. Sentivo il bisogno di un riscatto. E ora nessuno potrà più dire che le donne di sinistra sono tappeti ai piedi degli uomini. Si è coronato il sogno di una vita, è stato il compimento di una storia.

Un traguardo, la leadership, che voi non avete conquistato.

Berlinguer nel 1981 parlava del rapporto tra il partito e le determinate fasi storiche. tutte le battaglie vanno parametrate al contesto storico. La leadership non era in cima ai nostri pensieri, avevamo l’ossessione di fare battaglie per modernizzare il paese. Spero non si cada nella tentazione di utilizzare il successo di Elly per liquidare le lotte delle donne che sono venute prima: il suo successo è anche frutto di quella storia.

Cosa l’ha convinta nel programma della neosegretaria?

Il suo programma certo, ma anche la novità e la credibilità che porta una donna di una donna figlia di una generazione che non porta solo sofferenze, ma anche potenzialità. La sinistra rinasce solo se saprà essere interlocutrice e rappresentante di questa generazione e dei suoi problemi. Di Schlein mi ha colpito il modo in cui ha saputo coniugare giustizia sociale e difesa del clima e la nettezza nella lotta alla precariertà. Da lei ho imparato questo approccio nuovo che non c’era nella nostra generazione. E poi mi è parsa coerente sull’immigrazione: si è sempre battuta contro il finanziamenti alla guardia costiera libica.

Bonaccini ha pagato l’assenza di critiche verso le scelte del passato?

Premetto che ho stima per lui e per il modo in cui ha partecipato a questo congresso. Ma il suo approccio sul passato non mi è parso convincente, dire “io non c’ero” non bastava, non mandava un messaggio di innovazione. Nell’era del governo Meloni ha pesato molto che Schlein fosse una giovane donna che non c’entrava con le scelte del Pd degli ultimi anni. 

Come immagina il Pd di Schlein?

Spero che sia unito e dia subito il senso di una nuova politica popolare, in viaggio nella società italiana, a stretto contatta con i luoghi di lavoro, gli ospedali, le universitàa. C’è un grande lavoro di ricucitura da fare. E poi mi auguro che prenda di petto il tema dell’immigrazione. Serve una proposta forte per una nuova legge che sostituisca la Bossi- Fini, il Pd non deve più avere imbarazzi o reticenza nel parlare di questo tema. Vorrei un Pd che esce della retorica della fresi fatte e abbia una politica sull’immigrazione, che è un fatto strutturale, che non si può affrontare sempre con la logica dell’emergenza: bisogna sfidare le paure. Immagino una grande conferenza nazionale per chiamare a raccolta le associazioni, gli esperti.

Vede rischi di scissione?

Credo che nel partito prevalga largamente lo spirito unitario, che riguarda sia i nativi democratici sia chi viene da storie precedenti. Vorrei che si rilanciasse lo spirito dell’Ulivo per elaborare pensieri nuovi. Il Papa per primo parla di immigrazione e lotta alle povertà, il pensiero cattolico democratico può dare un contributo enorme a partire dalla lotta alle diseguaglianze. Non c’è nessuna ragione perché le culture fondative del Pd che stanno insieme da 15 anni si dividano.

Cambierà la linea sulla guerra?

No, credo che Schlein saprà interpretare il sentimento pacifista che c’è nel nostro popolo ma nella nettezza della scelta di campo a favore dell’Ucraina. Oggi le parole d’ordine devono essere dialogo e negoziato per arrivare a un cessate il fuoco. Questa sarà la nostra priorità, bisogna fare di tutto per fermare l’escalation militare.

Il terzo polo sogna di rubare voti a un Pd molto più orientato a sinistra.

Un approccio politicista che non porta da nessuna parte. Il compito di Elly è tenere unito il Pd, dare battaglia al governo sui temi concreti e cercare convergenze con tutte le opposizioni su temi come il salario minimo. Il resto non conta.

Si può dire che da domenica una certa idea di «riformismo» è stata archiviata?

Ho imparato questa parola nel Pci, quando significava dare concretezza alle battaglie per migliorare vita dei più deboli. In questi ultimi anni è prevalsa l’idea di un riformismo contro la sinistra, che lodava Marchionne e considerava i sindacati come preistoria. Ecco, questa visione è stata finalmente archiviata.

 

Elly Schlein, Prima donna segretaria del PD

1 Marzo, 2023 (09:40) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

Elly Schlein, prima donna segretaria del PD(e dei partiti costitutivi dell’Ulivo) rappresenta una novità storica. Non solo perché è prima, ma per come è diventata prima. 

Ha messo in gioco coraggio ed ambizione personale  facendo crescere attorno a sé una comunità con cui ha costruito e condiviso il suo progetto politico. Scommette sulla politica del Noi.

Ha praticato i luoghi della società, non solo nella campagna elettorale ma in tutta la sua storia politica. Intende cimentarsi  con le sfide del nostro tempo con gli occhi e lo sguardo di oggi, della sua generazione, questa generazione della precarietà, che coinvolge sia i giovani più poveri e meno istruiti sia i giovani che hanno avuto la possibilità di formarsi e di valorizzare i propri talenti ma li vedono troppe volte sviliti, impediti a realizzare i loro progetti ed a pensare il futuro.

Elly mette  in gioco il suo essere donna femminista per un progetto di netto cambiamento della società, ha intercettato un desiderio femminile di “riconoscimento” delle battaglie compiute nel corso degli anni con tanta generosità ed impegno contro la destra che oggi è al governo, battaglie che hanno realizzato le riforme più importanti del nostro paese. Ha intercettato un desiderio femminile di rinnovamento della politica e di riconoscimento da parte della politica, a partire dalla sinistra, dell’autorevolezza delle donne.

Questa incapacità di riconoscere l’autorevolezza femminile è la scoria dura del maschilismo che permane, perché riconoscere l’autorevolezza delle donne significa mettere in discussione se stessi ed il proprio potere. Per capire che non è enfatico parlare di rottura storica basta leggere la storia  della nostra Repubblica.

Si scoprirà cosi che le donne del PCI, PDS, DS non furono animate dalla passione politica per diventare segretaria del partito, questo obiettivo non era in cima ai loro pensieri.

La loro passione politica era rivolta a modernizzare il loro paese, a cambiare la politica attraverso la promozione di una vivace politica popolare. E ci riuscirono, insieme alle donne cattoliche e socialiste. Immerse nel e contaminate dal femminismo.

Per evitare una lettura liquidatoria sulla storia delle donne di sinistra, ma anche delle donne cattoliche, che non riuscirono nel traguardo di eleggere nel corso di tanti anni una donna segretaria vale la pena di rammentare una affermazione di Enrico Berlinguer “Rinnovamento della politica, rinnovamento del PCI”, Rinascita del 1981 “Le scelte del partito di massa e la sua azione si riferiscono  alla determinata situazione storica e politica del paese, ad una determinata condizione della società, ad un determinato stadio del costume, ad una determinata fase economica, e ad un determinato livello di coscienza del popolo italiano”.

Dunque il traguardo storico di Elly non costituisce una rottura rispetto alla storia delle donne del Centrosinistra, semmai un compimento, reso possibile proprio da quella storia. Dalle battaglie femministe per la libertà delle donne.

La storia ci dice anche che il PCI ebbe una donna segretaria, Camilla Ravera, seppure in condizioni particolari quando si  forma l’organizzazione clandestina del partito per combattere il fascismo, nel 1927, e la stessa fu la prima donna senatrice a vita nominata da Sandro Pertini nel 1982.

Giglia Tedesco fu Presidente del PDS e poi dei DS. Adriana Seroni, responsabile dell’organizzazione, la sottoscritta entrò a far parte della mitica segreteria del PCI a 32 anni chiamata da Alessandro Natta.

Le donne della sinistra si batterono per promuovere una LAEDERSHIP DIFFUSA, con tante donne ,a tutti i livelli delle istituzioni. Scontrandosi con il maschilismo e le arretratezze del partito. L’obiettivo e la passione politica erano quelle di costruire un rinnovamento profondo della società a misura di donne e uomini,  far contare la forza delle donne, innovare la cultura politica della sinistra.

I fatti e la storia dicono che abbiamo ottenuto risultati importanti, che andrebbero di più studiati e fatti conoscere.

Ci fu un limite in quella storia: amavamo il NOI, vivemmo la bellezza della sorellanza ma non fummo in grado  di mettere in gioco l’ambizione personale per misurarci in prima persona con la leadership del partito.

Altrettanto si può dire per le donne cattoliche che insieme a Tina Anselmi ebbero ministre importanti e personalità con un grande ruolo nel partito come Rosa Russo Jervolino che fu Presidente del Partito nel difficile passaggio dalla DC al Partito Popolare durante la segreteria Martinazzoli e poi reggente del partito difronte alle sue dimissioni e prima donna Ministra all’Interno.

Fu importante il ruolo delle donne nella costruzione dell’Ulivo  e poi nella nascita del PD. Rosy Bindi ne fu autorevole Presidente.

Credo vada riconosciuto che negli anni del PD, quella storia collettiva delle donne si è affievolita, per non dire interrotta.

Prevalse l’idea che il tetto di cristallo fosse rotto e ciascuna potesse condurre il gioco da sé in alleanza con gli uomini. Ruoli apicali e di Ministre importanti, senza precedenti, ma che  mancando il patto tra donne nel partito e con le donne dei movimenti ne hanno vista affievolita l’efficacia.

Ma anche in questi anni difficili le donne del PD e della sinistra ci sono state ,nelle battaglie nel partito e nella società.

Oggi Elly vince con la forza del coraggio individuale e con la forza del Noi. Ci conferma che questa è la strada da seguire per affermare una leadership efficace. Anche a questo proposito la storia ce lo conferma.

Come l’esempio e l’eredità di Tina Anselmi e Nilde Iotti, la rottura storica di Elly segretaria del PD è in realtà il compimento di una lunga  storia di lotte e di battaglie.

Un catena generazionale che lei ha riconosciuto nelle sue parole.

Una innovazione profonda  che sarà bella ed efficace se saprà, con la nuova generazione di cui Elly è espressione, costruire una nuova politica popolare, per tessere un legame intenso e profondo tra la politica e la vita delle persone.

Livia Turco

Articolo pubblicato su Strisciarossa 

Pd di lotta e di governo come il mio Pci

18 Dicembre, 2022 (10:52) | Interviste | Da: Redazione

Intervista a Livia Turco su il Riformista di Umberto De Giovannangeli — 17 Dicembre 2022

“Se il dibattito congressuale e la fase costituente del ‘nuovo Pd’ si ridurranno al posizionamento dei maggiorenti dem su questo o quel candidato alla segreteria, il Partito democratico rischia il suicidio politico”. Così Gianni Cuperlo in una intervista a questo giornale. Lei come la vede?

Condivido la preoccupazione di Gianni Cuperlo. Ho fortemente creduto e credo in una fase Costituente per animare una discussione ed una ricerca libera, schietta, che abbia protagonisti gli iscritti/e ed i tanti soggetti che sono impegnati a fare del bene alla nostra società. Questo avrebbe significato che i potenziali candidati fossero gli animatori e le animatrici di questa fase senza mettere in gioco subito la loro candidatura che inevitabilmente porta a ciò che stiamo vivendo: le persone più che il confronto sui contenuti, il posizionamento sui candidati rispetto alla pratica dell’ascolto e la costruzione di legami sociali. Ma, sono fiduciosa. Vedo compagni e compagne che nonostante la disillusione e le amarezze vogliono reagire, far rinascere la sinistra, combattere contro le politiche di questa destra che ha manifestato il suo volto di sempre. La commissione che ha il compito di stendere una bozza del Manifesto dei valori del nuovo PD, per come la sto sperimentando, è un luogo di confronto schietto ed approfondito. Tale Manifesto deve esprimere in modo chiaro le scelte che il mondo profondamente cambiato ci pone difronte.

Due dei tre candidati, al momento, alla segreteria nelle primarie del 19 febbraio 2023 sono donne: Paola Micheli ed Elly Schlein. La discontinuità è femminile?

Sono molto contenta delle candidature di Elly Schlein e di Paola De Micheli. Le ringrazio per la loro determinazione ed il loro coraggio. Dimostrano, con profili diversi, che le donne di sinistra non sono lo strapuntino degli uomini. A loro chiedo di rendere evidente la diversità della leadership femminile di sinistra, diversa dalla destra perché animata dall’ambizione di cambiare la politica, a partire dalla grave crisi della nostra democrazia rappresentativa, dimostrata tra l’altro, dall’elevato numero di persone che non va più a votare. Le donne possono diventare “l’onda d’urto” per tradurre in cambiamento sociale, politico e culturale l’intero articolo 3 della nostra Costituzione, cui tanto contribuirono le Madri Costituenti. Articolo che stabilisce un forte nesso tra l’eguaglianza di fatto, il superamento delle discriminazioni, la giustizia sociale e la costruzione di una democrazia inclusiva. Che promuove le capacità di tutte le persone, a partire da quelle fragili e ferite, per renderle protagoniste del loro riscatto sociale. Che consideri le politiche per il superamento delle discriminazioni di genere come una priorità nell’agenda del nostro paese. Per questo è importante valorizzare le leadership femminili diffuse nei territori ed in tanti luoghi sociali sollecitando la creazione di un NOI delle donne, plurale ed intergenerazionale.

Una delle parole più gettonate nel dibattito a sinistra è “identità”. Ma se non la sostanzia, resta una parola “appesa”, vuota, priva di senso politico. Provi lei a declinarla.

L’identità della sinistra che rinasce deve essere incentrata sulla costruzione di un Nuovo Umanesimo, animato dal principio della cura della vita. Che, partendo dalla lezione della pandemia del Covid-19, in cui ci siamo scoperti soggetti fragili, interdipendenti, globali, abbiamo visto messo in discussione quel pilastro del neoliberismo cui è stata subalterna la sinistra: l’ipertrofia dell’IO. Un Nuovo Umanesimo che sia scandito in modo netto dai seguenti valori e dalle seguenti politiche: l’eguaglianza della dignità delle persone; la comunità; la pace globale; uno sviluppo basato sulla dignità dei lavori, sulla dignità del lavoro di cura, sul forte investimento nei Beni Comuni-ambiente, salute, istruzione-, sulla considerazione del Welfare quale fattore di sviluppo e di crescita; la solidarietà tra le generazioni, capace di far vivere storia e memoria e di dare fiducia ai giovani; relazioni paritarie tra donne e uomini che ne valorizzi la loro differenza di genere e riconosca finalmente l’autorevolezza femminile; la società della convivenza e la cittadinanza plurale in cui si mescolano popoli, culture, religioni ed in cui alle persone immigrate vengano riconosciuti tutti i diritti sociali e politici, compreso il diritto di voto; la democrazia inclusiva che si prende cura delle persone e valorizza le loro competenze attraverso l’impegno dei soggetti sociali e di partiti politici popolari così come indicato dall’articolo 49 della nostra Costituzione. Animati da una politica “sobria”, onesta, pulita, competente, capace di guardare negli occhi le persone perché credibile. Una politica accessibile a tutti, che offra a tutti/e la possibilità si diventare classe dirigente del paese.

Enrico Letta sogna un nuovo Pd “pugnace”. Ma dopo oltre un decennio in cui l’assillo è stato la governabilità a tutti i costi, ne sarà capace? Del Pci si diceva “partito di lotta e di governo”…

Credo che il nuovo PD debba mantenere l’ambizione di governare il Paese. La partecipazione ai governi che si sono succeduti in questo decennio è in gran parte da ascriversi al periodo drammatico che abbiamo vissuto e che ha richiesto l’esercizio della responsabilità. Il problema è come si è stati al governo, quali le scelte compiute, quale rapporto tra l’azione di governo e la società. Purtroppo è prevalsa anche al nostro interno la politica come esercizio del potere, come carriera individuale perdendo il senso del partito come comunità. Credo che la sinistra potrà rinascere solo se saprà costruire una moderna politica popolare, un partito autonomo, di popolo. Si, un partito “di lotta e di governo”.

Il ritorno dell’ulivista Livia Turco

9 Dicembre, 2022 (10:52) | Interviste | Da: Redazione

Intervista a Livia Turco su L’Identità di Edoardo Sirignano - 9 dicembre 2022

 Il 25 settembre muore il campo progressista?

C’è un popolo che lo ha nell’anima ed è alla ricerca di un’efficace formazione politica che lo rappresenti. La sinistra non sono i gruppi dirigenti, ma i circoli e chi sabato prossimo sarà in piazza. Stiamo parlando di chi, nonostante disillusioni, sofferenze, ha ancora voglia di combattere. Ora, però, questa gente deve avere un’identità.

Qualcuno dice che l’interlocutore naturale è il M5S. È d’accordo?

Ciò che mi sta a cuore adesso non è Conte o Calenda. Entrambi fanno opposizione al Pd e non alla destra. Devono decidere chi è il loro nemico: chi combatte il reddito di inserimento o le persone con cui hanno governato. Il tema è ricostruire la sinistra, compresi legami sociali e territoriali. Detto ciò, è normale, che guardando i contenuti, mi ritrovo con chi difende il reddito di cittadinanza.

È stata tra chi ha promosso l’Ulivo. Cosa è rimasto di quella storia?

È stata una grande stagione di partecipazione one, che nulla ha a che a che vedere con le attuali correnti. È stato tradito un sogno.

Bertinotti dice che bisogna sciogliere il Pd. È d’accordo?

Non riesco a considerarlo autorevole. Non dimenticherò mai la caduta del governo Prodi per un voto. La storia sarebbe stata diversa se non ci fosse stato. Non riesco a ritenere degne di nota le valutazioni di chi ha commesso un errore.

Dopo cosa è successo?

Il Pd è nato male, sulla base di una fusione a freddo tra gruppi dirigenti. I dem sono altro, parola di militante. Stiamo parlando di persone che credono a un progetto e che, pur venendo da storie politiche differenti, sono presenti sui territori. Da qui bisogna ripartire. Altra aspetto da tenere in considerazione, poi, la generazione che non proviene né dai Ds, né dalla Margherita.


Cosa ne pensa della candidatura della Schlein?

La sosterrò. In una sinistra maschilista occore un colpo di reni. Quanto ha detto sabato, sono cose di sinistra. Non mi sembra la tipa che vada a trattare con le correnti. Sono invenzioni giornalistiche. Le illazioni su Franceschini sono la dimostrazione di un Paese malato. La moglie ha una sua storia. Una donna ha il diritto di avere un’autonomia, anche se è moglie di?

Quali sono gli errori commessi da chi è stato al vertice del Nazareno?

Il renzismo è stato un disastro perché ha sancito la subalternità del Pd alla cultura neoliberista, al populismo. Scegliere Marchionne anziché i sindacati è l’errore. Altro problema l’ipertrofia dell’io. L’artefice di questo processo ha un nome e cognome: Matteo Renzi.

Cosa bisogna fare in questo momento?

Rispettare il percorso congressuale.

È possibile la svolta a sinistra, auspicata da molti?

Il Pd deve ritrovare la radice di sinistra. Deve liberarsi o meglio ancora decidere da che parte stare, chi vuole rappresentare. Il coraggio delle scelte è la svolta. I dem dovrebbero stare dalla parte delle diverse forme di precariato, dell’eguale dignità della vita. Le disuguaglianze, oggi, sono reddito, diritti sociali, welfare. La sinistra è tale se sostiene che lo sviluppo si basi su beni comuni: salute, scuola, lotta alla povertà.

Il partito del lavoro potrebbe essere la strada?

Occorre una scelta netta. Se c’è lavoro, c’è accesso all’istruzione, benessere. A ciò occorre affiancare altri diritti sociali, che consentono una vita dignitosa per tutti. Non basta un nome a un partito. La priorità è che, in modo visibile, ci sia un cambiamento. Non servono proposte e analisi in Parlamento, ma frequentare i luoghi della società, guardare in faccia alle persone. Il dramma del progressismo odierno è aver dimenticato un aspetto peculiare della sua storia. Sono cresciuta con il motto, imparato nella mia 44esima sezione del Pc di Borgo San Paolo, per cui bisogna sapere tutto del quartiere in cui vivi. Altrimenti sarà impossibile recuperare la credibilità persa.

Considerando la sua esperienza al ministero della Salute, sono aumentati i problemi della sanità?

Sono molto preoccupata, a partire dal tema del personale. Quando quest’ultimo non trova più conveniente stare nel pubblico, c’è una conseguenza. Se si tornerà, poi, a un 6 per cento della spesa sul Pil, non si può stare tranquilli. Mi aspettavo una mobilitazione su questo tema. La salute, come il Covid ci ha insegnato, è un diritto individuale, un bene comune.

Cosa ne pensa della destra al governo, guidata da Meloni?

Non è cambiato nulla. Le politiche della destra sono sempre le stesse. Viene alimentata l’evasione fiscale, così viene destrutturato il reddito di cittadinanza. Con il governo Prodi, nel 1996, abbiamo introdotto il reddito minimo di inserimento.

Alle madri di Scampia, dicemmo mandate i figli a scuola e vi diamo un sussidio. Stesso discorso a Reggio Calabria. Siamo un Paese che ha una memoria corta. La relazione di Chiara Saraceno, che conservo come reliquia, contiene un dibattito che oggi sarebbe stato utile. Gentiloni dopo venti anni l’ha ripristinata. Destrutturarla, come intende fare la Meloni, è un errore. Vada a parlare con gli assistenti sociali, nei centri Caritas.

La politica del «noi» delle donne del Pci

11 Luglio, 2022 (12:13) | Documenti | Da: Redazione

I nomi e i cognomi, spesso, si dimenticano o sbiadiscono sovrastati dai grandi processi storici. Eppure, dietro alla nascita del Pci e alla lotta antifascista, nella Resistenza e nella costruzione della Repubblica, a sostegno della modernizzazione della famiglia e della società c’erano i nomi e i cognomi di tante donne alle quali Livia Turco, nel suo “Compagne”, restituisce visibilità e importanza. Un libro necessario, con l’anno del centenario del Pci appena alle spalle, in cui sono stati pubblicati tanti volumi su diversi aspetti e implicazioni della storia dell’ultimo secolo, ma non pagine adeguate sulla componente femminile.

Con Camilla Ravera e Teresa Noce, Rita Montagnana ed Elettra Pollastrini, Adele Bei e Gisella Floreanini, Nilde Iotti e Marisa Rodano, Adriana Seroni e Giglia Tedesco, Lalla Trupia e le molte altre figure incisive e lungimiranti rievocate in questo lavoro, si ripercorre la vita politica e sociale del Paese, e non è un caso che questa operazione di recupero della memoria arrivi da chi, a quella stagione, a un certo punto ha preso parte da autorevole protagonista.

Non si può cominciare che da Camilla Ravera, attiva sin dagli albori: ricordare il suo apporto alla lotta antifascista, la stima che Gramsci - il quale la volle nella redazione dell’«Ordine nuovo» - nutre per lei, il suo coraggio nell’opporsi al patto Ribbentrop-Molotov, la condanna al carcere e il riconoscimento di Pertini che la nomina senatrice a vita, vuol dire rifiutarsi di arrendersi all’oblio. Lo stesso oblio cui vanno sottratte le militanti che fuori dai confini italiani rischiano la vita portando informazioni e materiale di propaganda nel territorio dominato dai fascisti: sono i cosiddetti “fenicotteri rosa”, e anche grazie alla loro attività clandestina non si spense l’azione di contrasto alla dittatura che, dopo il delitto Matteotti e le leggi fascistissime, diviene asfissiante.

Si capisce, dunque, quanto fossero strutturate, esperte e motivate le esponenti del partito all’interno dei Gruppi di difesa della donna, l’organizzazione nata nell’autunno del ’43 per combattere il nazi-fascismo, e che comprende tutte le formazioni del Comitato di liberazione nazionale coinvolgendo 70mila donne. Poco tempo dopo nasce l’Unione donne italiane (Udi), fortemente voluta da Montagnana e a lungo presieduta da Maria Maddalena Rossi, mentre le conferenze nazionali scandiranno il tempo del cambiamento della condizione femminile.

Livia Turco (classe 1955, parlamentare dal 1987 al 2013 e ministra nei governi dell’Ulivo) sottolinea la dimensione della comunità, la capacità di aggregazione, di saper creare “un popolo” di tutte le militanti. Caratteristiche, queste, che animano in primis le elette all’Assemblea Costituente: sono nove e a ciascuna è dedicato uno spazio che ne fa emergere la personalità e le vicende biografiche.

Vite da film, punteggiate da momenti drammatici come l’esilio, i campi di concentramento, il carcere, il confino. Nei lavori dell’Assemblea difendono con tenacia le loro idee, ma senza arroccarsi su posizioni che avrebbero pregiudicato la conquista dei loro obiettivi, ricercando anzi un punto d’incontro con le colleghe democristiane e socialiste. Negli anni seguenti sono in prima linea per tradurre i principi costituzionali in leggi che li rendano concreti (è del ’50 un vero e proprio pilastro legislativo, quello sulla maternità, la cui prima artefice è Teresa Noce).

Eliana De Caro (Il Sole 24 ore)

Rileggere Enrico Berlinguer

23 Maggio, 2022 (10:28) | Articoli pubblicati | Da: Redazione

“Il tempo, grande scultore”, di Marguerite Yourcenar, racconta come lo scorrere del tempo illumina il senso profondo, non transitorio dei pensieri e delle azioni umane. In questo nostro tempo, in cui abbiamo vissuto l’imprevisto più duro, leggere i pensieri di Enrico Berlinguer su taluni temi cruciali come la pace nel mondo, la costruzione di un nuovo modello di sviluppo incentrato sui beni comuni, la moralità della politica, conferma che il tempo è davvero grande scultore. Nel senso che restituisce la forza di pensieri che sono stati lungimiranti. Come quelli elaborati e tenacemente perseguiti dal grande dirigente comunista.

Pensieri elaborati nel vivo della battaglia politica misurandosi con le storture dello sviluppo capitalistico, le ferite sociali, le impetuose domande di cambiamento che nel corso degli anni settanta ed ottanta avevano posto i lavoratori, i giovani, le donne, le novità emerse nel mondo cattolico. Ciò che in Enrico Berlinguer alimenta l’elaborazione di pensieri che permangono nel tempo è la pratica politica, la sua “cura etica” del giorno per giorno, la presa in carico della vita concreta delle persone, la moralità dell’azione politica, lo sguardo che va in profondità e cerca di capire l’impatto che i processi in corso avranno sul futuro. Per Berlinguer la struttura del mondo viene definita da due caratteristiche principali: lo sviluppo dell’ordinamento nucleare che minaccia lo sterminio universale; il divario crescente tra aree ad alta industrializzazione ed il terzo mondo, cui aggiungerà negli ultimi anni la rivoluzione scientifica e tecnologica. A partire da qui avanza la proposta di un governo mondiale e nel 1982 sollecita il PCI ad elaborare la Carta per un nuovo ordine economico e politico internazionale.

Un’ idea, quella della Carta per un nuovo ordine mondiale, che comincia a maturare alla fine degli anni settanta e che si intreccia con l’affermazione del valore universale della democrazia, con la costruzione di una politica europea che solleciti la distensione tra le due superpotenze-USA ed URSS- a partire da una riduzione degli armamenti e ed una politica di una cooperazione con i paesi del Sud del mondo per renderli attori, alla pari, della costruzione di un nuovo sviluppo economico mondiale. Colpisce leggere oggi il discorso che Enrico Berlinguer pronunciò a Strasburgo, nel Parlamento Europeo, contro l’intervento sovietico in Afghanistan, (16 gennaio 1980), in cui riflette su qual è il ruolo dell’Europa e come si sta nella Nato. Insieme alla netta condanna della invasione da parte dell’Unione Sovietica in Afghanistan esprime profonda preoccupazione per la corsa agli armamenti attivata da Usa ed Urss e l’inasprirsi del conflitto tra le due superpotenze.

“Si è come in presenza di una intensificata militarizzazione della politica e dello stesso pensiero politico…Bisogna aprire la via del dialogo e del negoziato. Per fare questo è necessaria una politica europea che sia di moderazione, di saggezza, e di iniziativa costruttiva”.

“E’ in questa direzione che deve andare la politica europea, promuovendo iniziative, anche nuove, per il disarmo; rifiutando ogni forma e tentazione di neo colonialismo; stabilendo con i popoli e i paesi del Terzo mondo uno schema di rapporti fondati non sul semplice aiuto ma sull’uguaglianza e la cooperazione reciprocamente vantaggiosa. Ma bisogna anche dare la prova di comprendere che la causa della pace e della giustizia nel mondo non tollera più quei privilegi e quegli sprechi, quei modelli di vita e di consumi propri della società industrializzate, i quali offendono feriscono e suscitano la legittima reazione di grandi masse umane, di interi continenti”.

La pace, il governo mondiale si intreccia con il tema di un nuovo modello di sviluppo di cui leva è una politica di austerità . “Abbandonare l’illusione che sia possibile perpetrare un tipo di sviluppo fondato su quella artificiosa espansione dei consumi individuali che è fonte di sprechi, di parassitismi, di privilegi, di dissipazione delle risorse, di dissesto finanziario. Bisogna promuovere un modello di sviluppo che sia ispirato e guidato dai principi della massima produttività generale, della razionalità, del rigore, della giustizia, del godimento di beni autentici quali sono la cultura, l’istruzione, la salute, un libero e sano rapporto con la natura” (gennaio 1977).

Le battaglie delle donne in particolare hanno messo in evidenza che i problemi che scandiscono la vita umana vanno oltre la dimensione economica e sociale, riguardano le relazioni tra donne e uomini, tra genitori e figli, le relazioni famigliari, la dimensione affettiva delle persone. Riguardano la qualità dei tempi di vita, in particolare il rapporto tra il tempo di lavoro ed il tempo della cura. Cura delle persone e cura dell’ambiente e delle città, dei borghi, delle periferie, delle campagne in cui le persone vivono. Riguardano la qualità del welfare, per garantire i fondamentali diritti sociali come la salute, la formazione, i servizi sociali. Il diritto al lavoro e la qualità del lavoro. Le battaglie delle donne sono state capaci di tenere insieme i diritti civili ed i diritti sociali.

Dunque bisogna “allargare i confini” della politica, dotarsi di un progetto di trasformazione sociale che sia di liberazione umana. Ma per fare questo bisogna contrastare una concezione e pratica povera e riduttiva della politica, quella per cui essa viene ridotta “ai rapporti, ai giochi tra i partiti , tra maggioranza ed opposizione e tutto finisce lì.”

Bisogna ascoltare e fare pesare nell’agenda politica le domande di una vita dignitosa che provengono da strati sociali diversi, da movimenti animati da nuove culture come quella ecologista e pacifista. Bisogna che esse incidano nell’agenda politica e trasformino le istituzioni della politica, i partiti. Questo è un pensiero ed una ricerca costante di Enrico Berlinguer che si accentua negli anni ottanta, con la proposta dell’Alternativa Democratica, quando si assiste ad una degenerazione della vita pubblica, all’emergere di una acuta questione morale, al distacco dei cittadini dalla politica dei partiti e delle istituzioni, che si traduce nella crescita dell’astensionismo dal voto. Fenomeno inedito nel nostro paese e che conferma la crisi della politica tradizionale. Accompagnata dall’emergere di forme nuove di impegno civico. C’è un rapporto stretto tra la costruzione di un nuovo modello di sviluppo e la riforma della politica.

Questo chiama in causa il modo concreto e quotidiano di essere del PCI. Ed ecco che tornano centrali le donne con la loro critica al maschilismo. Tema su cui si sofferma in un mirabile discorso svolto a conclusione della Settima Conferenza delle donne comuniste, (4 marzo 1984), uno dei suoi ultimi.” Bisogna superare quegli orientamenti culturali, quegli atteggiamenti mentali e pratici, quelle abitudini che sono proprie di una società e di una cultura e quindi anche di un modo di fare politica costruiti secondo l’impronta maschilista, cioè in nome di una pretesa supremazia dell’uomo sulla donna e delle concezioni che ne sono derivate e che egli ha ereditato.” Cita Karl Marx negli scritti giovanili là dove afferma “Nel rapporto verso la donna, preda sottomessa alla libidine della comunità, è espressa la smisurata degradazione in cui l’uomo si trova ad esistere di fronte a se stesso. Dal rapporto dell’uomo con la donna si può giudicare ogni grado di civiltà dell’uomo”.

Berlinguer riconosce che “nel partito permane uno scarto tra le acquisizioni e le posizioni a cui siamo giunti sulla questione femminile e l’attuazione di esse nella politica generale, nelle iniziative concrete e nella stessa vita di partito fino all’atteggiamento personale, al costume, allo stile nei rapporti con le compagne. Il superamento di questo scarto è diventato ormai condizione indispensabile imprescindibile per una generale avanzata del partito, per l’affermazione della sua politica complessiva, dato che incorporando in essa le questioni poste dalle donne e dai loro movimenti la nostra politica acquisterà maggiore incisività, una nuova grande ricchezza, anche modificandosi laddove deve essere modificata”.

Livia Turco